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Toronto, l’altezzosa e l’audace

Il cielo é plumbeo quando esco all’aeroporto Ester Pearson di Toronto. Una nebbia fitta avvolge la cittá – cosí fitta da non consentirmi nemmeno la vista del famoso lago Ontario.
Il tassista che mi conduce all’albergo, un indiano sikh con il tipico turbante che cela lunghissimi capelli –come il loro rituale religioso prevede- mi spiega che la nebbia é frequentissima a Toronto d’autunno e d’inverno, spesso è cosí fitta da far scomparire la citta’. Le sporadiche macchie di colore che si fanno strada tra i banchi nebbiosi sono le foglie d’acero rosso fuoco delle bandiere canadesi, sono dappertutto, in piena tradizione nordamericana, vicino alle industrie della periferia ma diventano molto piú frequenti attorno al centro, quasi ad indicare l’avvicinarsi di Toronto downtown. Tra palazzi, grandi condomini e grattacieli si nascondono case a schiera e parchi immensi, in un miscuglio archittetonico davvero audace; questo lo noto giá durante la corsa in taxi dall’aereoporto – eppure la prima impressione complessiva della cittá è di grande anonimitá, ho la sensazione che potrei essere in una qualsiasi altra metropoli. Non mi sembra ci sia nulla che catturi l’attenzione del viaggiatore. Ma sono destinata a ricredermi. Il mio albergo è la prima piacevole sorpresa. Sherbourne Street, 529 è l’indirizzo – una lunga strada piena di deliziose vecchie case dall’aspetto nordeuropeo, ma in gran parte deteriorata da giganteschi blocchi di cemento. Il mio albergo è una villa del secolo scorso, tutta torrette e verande, con un’illuminazione un po’ tetra, perché risalta le punte e gli angoli dell’architettura. E’stato appena acquistato dalla catena alberghiera Clarion ma ha una tradizione ben piú lunga e famosa. Per un lungo periodo qui visse Hemingway con sua moglie. Allora l’albergo era probabilmente una locanda piutosto modesta, oggi ristrutturata senfa sfarzi ma mantenendo lo charme dell’epoca. Ho prenotato per tempo, ed è per questo che al prezzo di 98 dollari canadesi per notte ho il privilegio di pernottare nella suite della signora Hwmingway, un’ampia stanza con camino (ancora funzionante!), una cassaforte d’altri tempi ed adiacente una meravigliosa sala da bagno dotata addirittura di idromassaggio – un modello di Jacuzzi vecchio ma di certo posteriore alla soggiorno degli Hemingway… Lo scopo del mio viaggio è prender parte all’history congress, (www.history2004.com) importantissimo appuntamento internazionale per registi e produttori di programmi di storia (e non solo) per la televisione. La sede del congresso è nel distretto finanziario della cittá, a Sutton Place, (http://www.suttonplace.com) un hotel cinque stelle in un grattacielo tutto sommato anonimo, se non fosse per la sala da pranzo situata nel 33° piano e dalle pareti di vetro, da cui si gode una vista mozzafiato: palazzi, grattacieli, case basse tra colossi di vetro, la famosa torre della televisione (una delle piú alte del mondo), e parchi ovunque, con alberi in questa stagione dai colori davvero unici – foglie in tutte le tonalitá del giallo, che sfumano nell’arancione fino ad rosso fuoco dei cedri. Sullo sfondo, il gigantensco lago Ontario, tanto grande da sembrare un mare. Per la prima volta di fronte a questa immagine il mio animo da viaggiatrice curiosa trova a Toronto pieno appagamento. Da questo momento in poi la cittá è destinata a continuare a stupirmi. Giá la sera, quando dopo le sessioni giornaliere del congresso, i svariati appuntamenti con colleghi ed un paio di caffè per combattere il fuso orario, prendo parte al primo ricevimento organizzato per i partecipanti dell’history congress, scopro un altro angolo delizioso, nel cosiddetto distillery district: (www.thedistillerydistrict.com), dominato da un’immensa distilleria di whisky, i cui ampi spazi vengono utilizzati oggi per spettacoli teatrali, ricevimenti ed attivitá culturali di vario tipo. Si parla molto di politica al congresso: le elezioni presidenziali americane sono imminenti e sulla bocca di tutti – unanime la convinzione che la decisione degli Americani avrá un influsso addirittura maggiore del solito sulla politica mondiale. Paradossalmente questi sono anche i giorni a ridosso di Halloween, la cittá si riempie di persone di tutte le etá perfettamente calate nel ruolo della loro maschera, le vedo dappertutto, streghe, folletti, fantasmi, mentre discuto con dei colleghi su Kerry contro Bush, passeggiando verso il mio albergo. Ma il Canada è molto diverso dagli Stati Uniti, si avverte una quiete in questa cittá di piú di tre milioni d’abitanti inimmaginabile in una metropoli americana di simili dimensioni. Gente proveniente da ben 70 nazioni convive qui in maniera tutto sommato pacifica, il 60 per cento dell’intera popolazione di Toronto è costituita da emigrati, le cui diverse etnie detengono una sorta di tacito monopolio in diverse categorie di business: un paio di famiglie di indiani ha in mano le catene di taxi, gli arabi la fanno da padroni nel settore alberghiero, i cinesi si stanno facendo strada nel settore bancario mentre gli italiani… loro controllano, come da copione, gastronomia e gran parte dei negozi di abbigliamento, mi racconta soddisfatto Mr. Della Fonte, un canadese di origini napoletane che mi mostra orgoglioso il suo grande negozio di abbigliamento maschile all’intero dell’Eaton Center, (http://www.torontoeatoncentre.com) l’immenso centro commerciale situato sulla Younge Street. In Canada ci si trasferisce per stare tranquilli, mi spiega, non è difficile ottenere un passaporto, ci sono meno possibilitá di arricchimento negli Stati Uniti ma proprio per questo motivo non c’è nemmeno la sfrenata corsa al denaro tipica di tanti emigrati accecati dall’American dream. Dopo un’altra giornata di congresso mi dirigo al porto, non ho ancora visto il lago nonostante sia a Toronto giá da tre giorni. Il molo è pieno di traghetti per turisti, l’aria lacustre e’ tagliente e soffia un vento molto freddo. Apparentemente indifferenti alla rigiditá del clima un gruppo di anatre nuota pacifico al tramonto. I grattacieli a ridosso del lago riflettono la luce del sole al crepuscolo creando riflessi dorati. Per un attimo il cielo si tinge di rosso ed i grattacieli si incendiano nel rosso fuoco del cielo. Cerco un posto in cui bere qualcosa di caldo e magari leggere un buon libro. Il Pier 4 (www.pier4rest.com) è l’unico vero locale al porto: una sorta di museo pieno di reperti (autentici o perfettamente ricreati) di viaggi in mare di ogni epoca e tipo, di cartine e casse che rimandano a leggendari viaggi di pirati fino a reti immense, forse feticcio di qualche pesca particolarmente propizia. Il locale è decisamente un’attrazione per turisti, ma è l’unico nei dintorni, per caso vi incontro anche una collega del congresso, cosí decidiamo di fermarci per cena. E ci dividiamo un “seafood plate”: aragosta, gamberi giganti e granchio. Delizioso. Accompagnato da un vino bianco canadese. Insieme decidiamo di affittare un’automobile il giorno successivo, (giorno di pausa dal congresso), e dirigerci alle famose cascate del Niagara, (www.city.niagarafalls.on.ca) a circa un’ora di strada da Toronto. La potenza di queste incredibili masse d’acqua è stupefacente: una galleria creata dietro le cascate consente uno sguardo privilegiato quasi “all’interno” di questo incredibile fenomeno naturale, che vale decisamente una visita, anche per tutta la zona attigua alle cascate: chilometri e chilometri di parco nel tipico rosso e giallo dell’autunno canadese, sulla riva dell’Ontario, grandi coltivazioni di vite fino ad un paesino a ridosso della costa, dal paradigmatico nome di “Niagara on the lake”: (www.niagaraonthelake.com) perfetto fino ad essere kitsch nel suo stile angolsassone. Torniamo a Toronto stanche dopo una giornata intera trascorsa nella natura, con quella felicitá che solo il contatto con gli elementi naturali sa dare. Con una nuova energia mi preparo all’ultimo giorno a Toronto. Ho ancora un paio di appuntamenti con due produttori canadesi. Esco dall’albergo per tempo munita di cartina per dirigermi al primo incontro passando per Chinatown, situata a Spadina Street e nelle vie cirocostanti: un tuffo inaspettato di tutti i sensi in piena Cina: colori, odori e la lingua parlata quasi da tutti per le strade non hanno nulla a che vedere con il mondo occidentale. Decine di negozi vendono verdure a me sconosciute, pesce affumicato e montagne di spezie a signore cinesi di varie etá, indaffarate, mi sembra, nel trattare un buon prezzo con i negozianti. Vorrei fermarmi e respirare un po’ piú a lungo l’aria di questo esotico microcosmo in piena Toronto, ma non ne ho il tempo. Il dovere mi chiama e riempie l’ultima giornata trascorsa in Canada. Mi affretto verso l’albergo per fare i bagagli, ho un’ultima cena di lavoro prima di ripartire, la mattina successiva, alla volta dell’Europa. La cena ha luogo in una Steak House chiamata “Keg” (www.kegsteakhouse.com ): una villa ottocentesca trasformata in ristorante, con ampie sale che in parte risentono, nell’architettura, del fascino esercitato dal medio Oriente nel secolo scorso: colonne in legno di stile arabeggiante e ampie poltrone basse in due grandi stanze hanno il gusto e l’aspetto frivolo del mondo di “Mille e una notte”, camino e tavoli in legno nell’altra lasciano invece trapelare –nella scelta dell’arredamento- evidenti influenze inglesi. Una grande foto di un Bernard Shaw anziano seduto su una panchina troneggia in quest’ultima stanza. E’ molto difficile, per me, concetrarsi in questo luogo pieno di storia. Soprattutto quando il capocameriere, James, mi racconta dei due spiriti che vivono in questa singolare villa: quello di un ragazzino, figlio di uno dei propietari, morto di polmonite in una stanza al secondo piano, e quello di una cameriera, impiccatasi nella sala d’ingresso della villa: due storie senz’altro un po’ tetre, che peró mi fanno sorridere soprattutto per la loro bizzarria. E ancora una volta rimango stupita da questa singolare cittá canadese, audace nel riunire mondi ed influenze culturali tanto diverse, bizzarra e altezzosa, pronta a mostrare le sue bellezze solo al viaggiatore paziente e curioso.
(Chiara Sambuchi)
Chiara Sambuchi, corrispondente per Recensito da Berlino è regista di documentari per la ZDF e giornalista, ha ventinove anni e vive tra Berlino e Roma

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