Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 720

“Tintoretto. Un Ribelle a Venezia”: storia rinascimentale di un self-made man

Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, fu tra gli artisti più influenti del Rinascimento italiano. La sua arte, una perfetta sintesi tra il colore di Tiziano e il disegno di Michelangelo, esercitò una profonda influenza sulla successiva arte barocca, soprattutto per l’innovativo impiego della luce. A cinquecento anni dalla sua nascita, il leggendario artista è celebrato nel docu-film Tintoretto. Un Ribelle a Venezia, firmato da Sky Arte e distribuito nelle sale il 25, 26 e 27 febbraio da Nexo Digital nell’ambito del progetto “La Grande Arte al Cinema”.
Il lungometraggio, ideato e scritto da Melania Mazzucco e diretto da Pepsy Romanoff, ripercorre con la voce di Stefano Accorsi l’inarrestabile carriera del maestro veneziano: dagli anni della formazione artistica nella bottega di Tiziano - dal quale fu subito allontanato per le sue straordinarie doti - fino alla realizzazione dell’ultimo quadro, una grandiosa Ultima Cena (1594). Momenti salienti di questo excursus biografico sono l’affermazione presso la Scuola Grande di San Rocco, la rivalità con Tiziano e il Veronese, gli anni della peste (1575-1577) e il rapporto con la figlia Marietta (soprannominata Tintoretta). La narrazione, sostenuta da una colonna sonora avvincente, è arricchita dalla partecipazione del regista Peter Greenaway e da numerosi contributi di storici dell’arte.

La bellezza del documentario consiste nel porre in risalto l’uomo dietro l’artista. Quella di Tintoretto è la storia rinascimentale di un self-made man che, dotato di straordinaria volontà e di un’ardente passione, è riuscito ad affermarsi nonostante l’ostilità di Tiziano e senza il sostegno di un mecenate. Per imporsi nel mercato dell’arte, le sole armi a sua disposizione furono l’incredibile talento, che forgiò in uno stile rivoluzionario, e la velocità di esecuzione, dote naturale che diventò una carta vincente per battere i concorrenti sul tempo. Disposto a infrangere le regole pur di vedere riconosciuta la sua arte, Tintoretto giocò anche d’astuzia. Un esempio è l’espediente al quale ricorse per vincere il concorso indetto nel 1564 dalla Grande Scuola di San Rocco. Sapendo di non essere il favorito, Tintoretto non realizzò uno schizzo preparatorio come richiesto dalla competizione ma presentò la tela con il dipinto già completato.

Tintoretto Ultima CenaIl suo essere spregiudicato si tradusse in uno stile energico e dinamico di cui il film offre un’osservazione attenta e capillare. Lo sguardo del regista si sofferma sui dettagli dei più importanti capolavori per mettere in luce le principali caratteristiche di Tintoretto. Tra questi particolari pittorici vi sono: i vestiti con le toppe dell’Ultima Cena (1547) per esprimere la forte aderenza alla realtà; le perle sospese in aria in Tarquinio e Lucrezia (1578 – 1580) per evidenziare la capacità di catturare l'attimo fuggente come un’istantanea fotografica; la posizione di Gesù sullo sfondo nelle Nozze di Cana (1561) per documentare la rottura con le modalità narrative della tradizione pittorica. La sua tecnica compositiva è così moderna che alcuni storici dell’arte - e non solo - hanno individuato nei suoi lavori una connotazione "teatrale" e "cinematografica". La prima è determinata non soltanto dalla ricorrente presenza di figure drammatiche ma soprattutto dal gioco di luci ed ombre per illuminare la scena, caratterizzare la psicologia dei volti o definire la ricchezza dei vestiti. La componente “cinematografica”, invece, è data dal peculiare impiego dello spazio. La profondità di campo (Crocifissione, 1565) e la suddivisione della superficie in più parti (L'Annunciazione, 1581 - 1584) sono elementi ricorrenti del linguaggio cinematografico del XX secolo. Non solo: il filosofo Jean-Paul Sartre definì Tintoretto “il primo regista della storia” mentre Peter Greenaway, nel corso del documentario, paragona l’organizzazione scenica del pittore a quella cinematografica di Stanley Kubrick.

TINTORETTO VENEZIAA incorniciare l’affascinante storia di Tintoretto vi sono le immagini di Venezia, sua città natia, alla quale fu così indissolubilmente legato da non abbandonarla nemmeno negli anni della peste. La Serenissima è ripresa in tutta la sua signorile bellezza: di giorno e di notte, dall’alto - con avvincenti panoramiche - e dal basso, con gli antichi palazzi riflessi nell’acqua. Il film si rivela un viaggio nella storia e nell’architettura della Venezia rinascimentale, di cui si ammirano i luoghi che maggiormente conservano la memoria di Jacopo Robusti come Palazzo Ducale e la Scuola Grande di San Rocco.

L’arte di Tintoretto ha saputo durare nel corso dei secoli. Lo scrittore e pittore Giorgio Vasari, nell'edizione del 1568 de Le Vite, definì Tintoretto “il più terribile cervello che abbia avuto mai la pittura” volendo con ciò sottolineare non soltanto le stravaganze del suo carattere ma la capacità di suscitare profonde impressioni ed emozioni. Il suo genio ha continuato ad esercitare un grande fascino non soltanto su pittori come Diego Velázquez ed Édouard Manet ma anche su un’artista poliedrico come David Bowie, così affascinato dalla furia creativa di Tintoretto da acquistarne un dipinto, L’Angelo annuncia il Martirio a Santa Caterina d’Alessandria, e da intitolargli la sua casa discografica.

Silvia Mozzachiodi 19/02/2019

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Digital COM