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Rupert Everett al TaorminaFilmFest

“Il matrimonio del mio migliore amico” con Julia Roberts ha consacrato il successo di Rupert Everett, affascinante e sagace attore inglese sbarcato ad Hollywood, presso il pubblico americano ed europeo: “È stato un colpo di fortuna perché mi avevano scelto per un ruolo minore e credevo sarebbe stata la fine della mia carriera. Ma a P.J. Hogan sono piaciuto e ha deciso di aggiungere tre scene al film così è nato il mio successo”. Tuttavia questo film, come i successivi, hanno incastrato Everett in uno stereotipo: “Evitare di cadere nel rischio di fare sempre lo stesso ruolo è difficile. A me è successo in quel periodo, per questo ho rifiutato di fare una parte simile ne “Il diavolo veste Prada”. Se sei sempre l’amico gay della protagonista tu ti stufi e il pubblico si stufa”. Della presenza omosessuale nelle storie hollywoodiane pensa “Il business non è ancora pronto. La liberalizzazione degli ultimi anni ha portato, purtroppo, alla reazione dei conservatori. A Hollywood, più che negli Studios, il blocco è nella classe conservatrice di destra che gestisce le sale; sono loro ad avere il controllo sulla produzione cinematografica perché hanno il potere di bandire un film o di dargli il successo”. Parlando di se stesso racconta “Io ho iniziato a recitare quando da Clinton siamo passati a Bush, che non ha incoraggiato l’apertura mentale della classe dirigente, e questa per me è stata una sfortuna perché, in quanto omosessuale, non sarei potuto essere un protagonista assoluto”.
Brillante scrittore in “Bucce di banana” e “Anni svaniti”, Everett è poliedrico: “Ho le mani in pasta in diversi ambiti; adesso sto scrivendo un serie tv”. Della sua esperienza teatrale, spesso trascurata in favore del cinema, dice “fare l’attore teatrale in Inghilterra è un lavoro duro. Hai nove spettacoli a settimana, lo stesso stress che avere un orgasmo falso ogni tre minuti. È un’arte!” scherza, e continua “Quando faccio meno cinema posso concedermi di fare teatro”.
Costante nella sua carriera è la figura di Oscar Wilde, “È il cristo del movimento omosessuale” dice. “L’esilio in Europa dopo il carcere sarà il tema del mio prossimo film” anticipa e sottolinea la volontà di uno stampo europeo del film “Wilde è un “brand” europeo e il mio film vuole essere europeo perché, a differenza di tanti inglesi, mi sento veramente parte dell’Europa”. Il film avrà come location i tre paesi del vagabondare di Wilde, Inghilterra, Francia e Italia, e sarà girato in tre lingue, con attori nativi. “Suscitare la partecipazione dei tre paesi è stato difficilissimo, siamo ancora in trattativa. Mi interessa soprattutto rendere giustizia a Napoli che è una protagonista del film, la più bella citta del mondo”. Ma sarà un Oscar Wilde diverso da quello glamour che conosciamo “Lui era un mito, passato dalle stelle alle stalle. Diventa un vagabondo: i suoi amici sono le prostitute e i ragazzi di strada. Il mio film somiglierà alla storia di un musicista rock che all’apice del successo si autodistrugge” scherza “Un’altra versione della storia di cristo!”. Delle nozze gay in Irlanda dice “È risultato inaspettato ma per questo elettrizzante. L’Irlanda ha fatto delle cose straordinarie negli ultimi venti anni per la crisi finanziaria e ora il popolo ha sostenuto l’unione gay mentre, se ci pensate, in Francia sono scesi tutti in piazza a protestare. Viviamo in un’epoca sorprendente.”
All’inizio della sua carriera Everett lavorò con i migliori registi italiani: “Era incredibile partecipare alla fase finale delle grandissima cinematografia italiana. Il primo autore con cui ho lavorato è stato Francesco Rosi: il direttore della fotografia all’epoca era Pasqualino De Santis, e vedere recitare dal vivo Gian Maria Volonté ha cambiato il mio punto di vista. L’estetica era la cosa più importante, Rosi non girava se la luce non era adatta, era un boss e ti metteva in soggezione”. Oggi è tutto diverso, il futuro del cinema è incerto, soprattutto riguardo alla fruizione: “L’abitudine che abbiamo di guardare i film sul piccolo schermo digitale fa parte di uno scenario deprimente” dice “Si è perso il senso della condivisione del film”.

Silvia Maiuri 21/07/2015

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