Una rapsodia di colori brillanti, questa "Mirai": ha conquistato la critica a Cannes, è stato mostrato in anteprima alla XXIV edizione del Romics e arriverà nei cinema italiani dal 15 al 17 ottobre. Lo spettatore si troverà davanti un dipinto che con pennellate delicate e vivaci racconta una storia estremamente quotidiana: quella di Kun, un bambino di quattro anni molto viziato, che si trova a dover accettare in casa una nuova arrivata.
Si tratta della sorella minore, Mirai, nome che in giapponese significa "futuro". È una storia che si svolge avanti ma anche indietro nel tempo, quella che il regista Mamoru Hosoda srotola davanti allo spettatore.
Mai banale, il maestro anche questa volta ricorre al suo trucco preferito: inserire un pizzico di fantastico nelle vicissitudini infantili di Kun, per trasformare la sua vita in un'avventura meravigliosa, che infrange i confini del tempo e dello spazio.
Kun è figlio di un architetto e questo è un dettaglio non da poco: la casa in cui abita si sviluppa su più piani digradanti. Sono scalini, come quelli su cui si arrampica temporalmente tutta la trama, che porta prima Kun una manciata di anni nel futuro, a conoscere sua sorella Mirai ormai adolescente; e poi sempre più indietro nel passato, per incontrare sua madre bambina e il suo bisnonno, appena tornato dalla guerra.
Il centro di tutto il viaggio è il piccolo giardino, al centro esatto di questa casa a forma di scala, che fa da passaggio segreto fra il complicato presente, a cui Kun rifiuta di adattarsi, e un microcosmo di meraviglie sempre nuove, ambientazioni che si susseguono senza assomigliarsi mai.
Il passaggio dalla realtà alla fantasia è semplice e Hosoda non perde tempo a inventare spiegazioni banali per questo curioso fenomeno.
Ogni volta che Kun fa i capricci e si rifiuta di accettare di crescere - vuoi per la presenza di Mirai in casa o vuoi per una banale caduta dalla bicicletta - corre nel giardino di casa e, nel tempo che strizza gli occhi e urla tutta la sua rabbia, il paesaggio cambia.
Sono passaggi rapidi ma morbidi, quelli con cui l'animazione di "Mirai" accompagna la transizione di Kun verso un piano temporale sempre diverso, anche se ad attenderlo possono esserci sorprese traumatiche, come l'assordante rumore del rotore acceso di un aeroplano.
Le musiche sono concilianti e familiari, come i panorami cittadini che Hosoda disegna davanti agli occhi dello spettatore. Accompagnano animazioni pulite, in un film in cui il 3D si sposa con discrezione all'animazione in 2D – con l'eccezione della sequenza nella gigantesca stazione di Tokyo.
Lì, però, la presenza di un controllore dalle fattezze di un robot di carta e ingranaggi è funzionale al momento più cupo di un film che, seguendo le parole del maestro, è probabilmente il più leggero della sua carriera.
E forse è vero, perché siamo "soltanto" davanti alla storia di un bambino. Eppure è proprio con "Mirai" che Mamoru Hosoda mostra tutto il suo talento: racconta la normalità con tanta cura da catturare completamente l'attenzione dello spettatore. Mostra i bambini scendendo alla loro altezza, senza risparmiare il loro lato più egoista e crudele ma anche quell'incanto genuino, che permette loro di emozionarsi persino davanti a uno sparuto fiocco di neve, che si scioglie nel palmo della mano.
"Mirai" si rivela così un film sui bambini, più che per i bambini, e una saga familiare, ancora più dettagliata e complessa dei film che l’hanno preceduta. Tutto parte da Kun, per scivolare giù per le radici del suo albero genealogico (e qui la parola "albero" non è pronunciata a caso) e tutto termina con Kun e la sua crescita. Una visione dai toni caldi e color pastello ma sicuramente coinvolgente ed emozionante.
Di Ilaria Vigorito, 05/10/2018