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Guido Notari: la voce d'Italia ridotta a silenzio

Voce e memoria, polvere e rovine incrostate del tempo, potere e società in divenire. Uno spettro senza volto si aggira rumoroso lungo venticinque anni (1931-1956) di storia italiana. È sempre presente, immancabile battitore del tempo che scivola a sua insaputa verso la modernità. Ma è altrettanto sfuggente, inafferrabile, invisibile.
Questo spettro ha un nome e un cognome: Guido Notari da Asti, professione “annunciatore”. Con la sua voce inconfondibile scandisce al ritmo d’iperboli roboanti il regime fascista dei cinegiornali, ma anche la lotta partigiana, l’avvento della Dc e le prime tracce di rinascita economica.

Si passa e si passerà, dove il nemico non ritiene possibile che si possa aprire un varco”; “L’Italia ha compiuto sacrifici di sangue e prodigi di valore in cinque guerre, tutte vittoriose: Libia, conflitto europeo, Etiopia, Spagna, guerra attuale”.

Tenta di strapparlo dall’oblio il documentario di Enrico Menduni, “L’ultima voce. Guido Notari”, presentato al Cinema Trevi dal regista in compagnia di Emiliano Morreale, Vito Zagarrio e Flavio de Bernardinis.
Altisonante, imperturbabile e pronta a riciclarsi con rinnovata indifferenza, la voce di Notari è sempre uguale a se stessa ma colonna sonora di eventi diversissimi. Eppure, non stona mai.
E allora acclamare Hitler e sbeffeggiare pochi mesi dopo i codardi fascisti diviene esercizio di stile acrobatico che prescinde dal contenuto, virtuosismo vocale con cui sfoggiare la stessa enfasi, lo stesso trionfalismo gonfio di retorica che oggi, forse, fa perfino sorridere.
Dalla campana di vetro dell’Istituto Luce e dell’Eiar, dalla parte del potere di turno, sempre e comunque. Prima di uscire dal buio e tentare l’approdo all’immagine, conquistandosi un volto in carne e ossa al cinema e in televisione. Ma è un mondo nuovo, un tempo nuovo in cui Notari non può trovare spazio: la retorica e gli affreschi altisonanti devono lasciare il posto all’immediatezza dello show da prima serata. E fa quasi tenerezza il Notari televisivo che quasi implora il suo ultimo pubblico: “scriveteci, vi risponderemo”. La morte improvvisa (1956) gli risparmia la messa in disparte, ma l’oblio lo travolgerà comunque.
Enrico Menduni tenta di riannodare i fili dell’esistenza di un personaggio conosciuto da tutti a sua insaputa e per questo in realtà oscuro, rimosso e dimenticato disegnandone, finalmente, un ritratto. Per farlo, si servirà della voce di Giorgio Zanchini, celebre conduttore di Radio1, dei ricordi di Ettore Scola e delle memorie del nipote di Guido Notari.
Ed è operazione difficile, non solo per la scomparsa di gran parte delle bobine e del materiale d’archivio dei cinegiornali, ma anche per una certa ritrosia della famiglia a lasciarsi sfuggire confidenze che restituiscano umanità a quel simbolo esistito per tutti solo in quanto voce.
Cosa c’era dietro quel tono così sicuro?
Un’anima? Un vero coinvolgimento emotivo? O un semplice professionista impeccabile?
Non lo scopriremo mai, ma troveremo molto altro: uno struggente viaggio alla ricerca dei luoghi sepolti dal tempo, un’incursione commovente in un mondo che non c’è più e che nessuno ha voluto salvare dall’oblio. L’istituto Luce, gli spazi dell’Eiar divorati dalla muffa e sommersi dai calcinacci, sono scheletri di un passato rimosso senza grandi nostalgie, mentre la Roma odierna li fagocita e sommerge di nuovo rumore e frenesie inconsapevoli.
L’unica oasi di silenzio resta l’università, il mondo di Enrico Menduni, in cui l’avventura di Notari e la sua memoria riacquistano per l’ultima volta colore, densità, presenza.

Simone Carella 05/10/2015

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