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"Esterno notte": Marco Bellocchio e il fantasma di Aldo Moro

"Esterno Notte" rappresenta un nuovo picco per la stagione d’oro della serialità italiana iniziata con 1992, il vero prodotto-spartiacque della produzione politica/sulla politica nazionale. La domanda sulla bocca di tutti però è questa: cosa ha spinto Marco Bellocchio (83 anni a novembre) a tornare a parlare del sequestro Moro quasi vent'anni dopo il suo eccellente "Buongiorno, notte"? Il regista piacentino cita un evento casuale: «L’idea di Esterno notte mi è venuta quando ho visto la grande foto sulla spiaggia di Maccarese, i bimbi e genitori in costume, il caldo, Moro sorridente in giacca e cravatta. Quell’immagine, senza darmi troppe spiegazioni, mi ha fatto pensare al fuori rispetto a quel che avevo raccontato in Buongiorno, notte, un territorio inesplorato. Da qui il progetto in sei capitoli, il prigioniero che scompare e ricompare alla fine, i quattro episodi per vedere, appunto, l’esterno. Mi sono fidato del mio istinto».

La serie comincia esattamente dove ci eravamo lasciati nel film del 2003: Aldo Moro, vivo, giace su un letto d’ospedale, esaurito dalla lunga prigionia. Tre suoi “amici” di partito (Giulio Andreotti, Benigno Zaccagnini e Francesco Cossiga), osservano famelici il corpo del loro leader, i loro sguardi evocano tutto tranne che sollievo. Una voce fuori campo, quella di un Fabrizio Gifuni in stato di grazia, dice/legge: “Alla luce dei recenti fatti, ogni mia futura carica, ogni mio incarico nel partito non sarà più possibile… Mi dimetto dalla Dc”.

Sono sei gli episodi che compongono "Esterno Notte". La struttura è quella di una serie antologica di stampo relativista alla Rashomon. Tante prospettive possibili grazie alla scelta di dedicarsi a punti di vista diversi su un delitto che ha cambiato per sempre la storia d’Italia e che Bellocchio ha provato ad azzerare.

Il primo episodio ritrae un affettuoso e sin troppo consapevole Aldo Moro, interpretato da un Fabrizio Gifuni davvero immenso. L’attore, che aveva già interpretato il personaggio per il cinema e per il teatro, è capace di rievocare in toto il fondatore della Dc che dalla seggiola del Parlamento propone un’apertura verso il Partito Comunista (PCI) di Enrico Berlinguer. Un’alleanza epocale, bloccata sul nascere dal suo rapimento che chiude l’episodio proprio nel giorno dell’insediamento del nuovo governo, il 16 marzo del 1978. Il “nuovo” Moro di Bellocchio (nel film originale il ruolo era interpretato da Roberto Herlitzka) è il fulcro attorno a cui ruotano tutti i personaggi, la sua figura semi-spettrale scombussola le coscienze di un paese che non vuole fare i conti con sé stesso. Così come il suo rapimento dà il via alla storia, la sua figura dà inizio all’autoanalisi forzata di una civiltà allo sbaraglio.

Il critico Paolo Mereghetti conclude così la sua recensione del film per il Corriere della Sera: «A Bellocchio interessa scavare in quella parte degli animi che è più forte della politica e delle scelte di campo […]. Quasi a volersi e volerci interrogare sul conflitto che sembra inevitabile tra il Potere e l’Amore». Queste parole riassumono perfettamente il contenuto dei successivi due capitoli di Esterno notte.

Con il secondo episodio il ritmo rallenta e al centro della narrazione non c’è più Aldo Moro, ma Francesco Cossiga, interpretato da un intenso e credibile Fausto Russo Alesi. L’approfondimento psicologico dei personaggi in scena tuttavia prosegue e Bellocchio conduce lo spettatore in un viaggio allucinato e inquietante dietro le quinte delle trattative volte alla liberazione di Moro. Ma non solo: il regista si spinge oltre, mostrando le reazioni troppo umane dei compagni di partito del politico sequestrato, le loro ansie, le loro contraddizioni e i loro traumi. I protagonisti di questo secondo capitolo muovono sentimenti contrastanti in chi li osserva: compassione e ribrezzo, empatia e distacco. Un ritratto grottesco e articolato che mostra lo stridente conflitto tra sfera pubblica e privata, eliminando le semplificazioni ed evidenziando la complessità dei rapporti umani, che spesso lasciano emergere interiorità sfaccettate e dissonanti.

Il terzo episodio sposta la sua attenzione sulla Chiesa e in particolare sulla figura di Papa Paolo VI. Toni Servillo incarna un Pontefice diviso tra doveri secolari e necessità di perdono e misericordia. Nelle sue stanze in Vaticano, un Papa dalle incerte condizioni di salute si infligge auto-punizioni con il silicio, soccorso da un fedele ed anziano assistente. Lo scopo è quello di espiare le colpe che opprimono la sua coscienza, che allo stesso tempo lo spinge a mettere in atto strategie poco convenzionali per risolvere una situazione che ha gettato l’Italia di fine anni ’70 nella paura e nel caos. La moralità del Pontefice è ulteriormente messa alla prova dal peso di un rapporto personale con la famiglia Moro: la responsabilità che egli avverte riguarda anche la moglie di Aldo, Eleonora, interpretata da una sfaccettata Margherita Buy. Il dialogo tra i due si muove tra empatia e gravità, coinvolgendo lo spettatore in un’atmosfera carica di emotività e dolore umano.

Ma l’affresco storico e psicologico dipinto da Bellocchio non è ancora giunto al termine: il 9 giugno uscirà al cinema la seconda parte della monumentale opera del regista piacentino, che in autunno sarà disponibile in formato seriale anche sulla Rai. Non è possibile sapere quale piega prenderà la narrazione, ma sicuramente il connubio tra realtà e immaginazione, storia e finzione, avvolto in un’aura di nera profondità accompagnerà la sezione finale di questo splendido prodotto cinematografico.

Pierfranco Allegri, Silvia Guzzo 09/06/2022

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