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Elisabetta II, calma e sangue blu: rappresentare la Regina, tra cinema e Netflix

«Per il mio ruolo, per la mia storia, avrò conosciuto nella mia vita approssimativamente 300.000 persone. Lei crede che questa folla oceanica mi abbia fatto sentire meno solo?»: così parlava l’Andreotti di Toni Servillo, in un raro momento di autenticità, nel Divo (2008) di Paolo Sorrentino. Nel caso della Regina Elisabetta, gli incontri saranno stati molti di più, ma la solitudine sarà stata inferiore? Entrambi sono personificazioni dell’imperscrutabilità del Potere (sostanziale nel caso di Andreotti, formale in quello della sovrana), che non può mai lasciarsi conoscere fino in fondo, e che per questo si trincera dietro a sorrisi leonardeschi e a motti di spirito.
In virtù della loro enigmaticità, sia il recordman della Prima Repubblica sia la monarca britannica sono personaggi estremamente “cinegenici”. Ma Elisabetta II sta accumulando un numero sempre crescente di rappresentazioni semi-fittizie, dopo che il Premio Oscar all’Helen Mirren di The Queen (2007, Stephen Frears) ha fatto cadere ogni possibile riserbo sull’opportunità di rappresentare quest’indecifrabile figura. La scelta di Frears di puntare i riflettori sul proverbiale annus horribilis 1997, quello della morte di Lady Diana, ha permesso di individuare la chiave di lettura per la rappresentazione di Elisabetta: con sfumature diverse, l’immagine predominante che ne si dà è quella della donna che – riempiendo l’ambiente circostante col proprio aplomb quintessenzialmente britannico – riesce a tirare le fila di una realtà caotica e impazzita.
Dietro a The Queen, c’è il drammaturgo Peter Morgan, il quale ha infuso degli stessi umori anche i propri lavori successivi: lo spettacolo The Audience, la cui versione filmata è arrivata nei cinema nel 2013, e la serie di Netflix The Crown, che dal 2016 a oggi ha accumulato 40 episodi. In The Audience, Elisabetta/Helen Mirren assiste – decennio dopo decennio – alla sfilata dei propri primi ministri, dispensando calma e sangue freddo, ma anche aprendo (e subito chiudendo) spiragli sulla propria anima. Partendo dal 1947, The Crown offre una versione più dinamica di Sua Maestà, inserendola in un contesto familiare problematico e sofferente: solo un’innata disposizione d’animo, unita a un certo stoicismo, poteva permetterle di non lasciarsi spezzare e garantire quella continuità messa in discussione dai figli e dai nipoti, ma prima ancora dallo zio Edward.
Certo, forse anche la Regina avrebbe voluto un’alternativa al proprio dovere dinastico (è quello che suggerisce, con levità, il film di Julian Jarrold Una notte con la regina, in cui si ipotizzano i “bagordi” di un'Elisabetta diciannovenne con la sorella Margaret a seguito della vittoria contro i tedeschi, nel 1945). Ciò che però rende la sovrana apprezzabile, anche dai detrattori della monarchia, è la sua coerenza in un mondo in cui una tendenza generalizzata alla fuga – dai doveri e soprattutto dai rapporti – è diventata la più seducente delle sirene.

Andrea Meroni 05/06/2022

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