Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

La coreografa canadese Marie Chouinard è la nuova direttrice di Biennale Danza

Marie Chouinard è la nuova direttrice artistica di Biennale Danza per il quadriennio 2017-2020. Virgilio Sieni, direttore uscente, lascia il posto alla giovane coreografa canadese già vincitrice di prestigiosi premi internazionali (l'ultimo, il Performing Arts Award for Lifetime Artistc Achievment del Governatore Generale nel 2016) e ideatrice del Prix de la Danse de Montréal, un festival già arrivato alla quinta edizione che rende omaggio alle migliori esperienze di danza dello stato federale e non solo.
La notizia della nuova nomina è arrivata mercoledì 13 luglio dopo che il consiglio d'amministrazione della Biennale di Venezia, presieduto dal Presidente Paolo Baratta, ha reso pubblico il nome di chi guiderà, per i prossimi quattro anni, il timone del Settore Danza.
Un nome già noto quello della Chouinard al festival internazionale di danza contemporanea; nel 1999, infatti, in occasione della prima edizione, era stata invitata dalla stessa Carolyn Carlson a presentare “Les Solos” , un lavoro che riuniva i suoi mariechouinardsoli più celebri del ventennio '78-'98. Solo due anni più tardi, nel 2001, torna nella laguna con due nuove esperienze legate, questa volta, alla compagnia: “Les 24 Préludes”, su musiche di Chopin e “Le Cri du Mond”, nato per il Premiere Dance Theatre di Toronto, un lavoro d'indagine sul corpo e sulla consapevolezza di una propria, essenziale, costruzione architettonica. Ancora, nel 2005, Marie Chouinard torna alla Biennale con una prima assoluta: “Body_Remix/Goldberg_Variations”, una coreografia per dieci danzatori sul concetto di libertà in relazione al movimento stesso degli interpreti. Infine, nel 2010, il nome della coreografa quebecchese torna con un dittico presentato in prima europea: “Le nombre d’or (Live)” che già aveva debuttato a Vancouver e “Gloire du matin”, con cui la stessa Chouinard torna a varcare le scene dopo vent'anni d'assenza nella metafora dell'Ipomea, il fiore blu che sboccia all'alba e muore la sera donando pace a chi lo coltiva.
La grande sperimentatrice della danza contemporanea, nelle prossime quattro edizioni del Festival, avrà il compito di coordinare il lavoro del College al fianco delle diverse esperienze di maestri internazionali che verranno chiamati a presentare i propri linguaggi artistici. «Avrò l’opportunità di presentare pratiche, maestri, opere e artisti in cui credo, capaci di aprire i nostri modelli di pensiero e di percezione ad altre dimensioni, stimolando il dialogo tra le nostre abitudini e noi stessi, tra i nostri schemi mentali e la nostra libertà, verso una rinata bellezza, una maggiore inclusione, un amore senza confini», ha dichiarato la Chouinard, dopo la nomina di Baratta.
Il presidente della Biennale di Venezia e tutto il consiglio di amministrazione accolgono con molto entusiasmo lo spirito della coreografa dalla «passione pedagogica» e esprimono tutta la loro gratitudine a Virgilio Sieni per lo straordinario lavoro svolto come direttore artistico nelle ultime quattro edizioni di Biennale Danza.

Laura Sciortino 16/07/2016

Niurumaru Wine Festival 2016: da Lecce a Otranto un percorso sensoriale tra vino e musica

L’estate salentina si prepara ad accendersi: come ogni anno la provincia di Lecce si colora di suoni, eventi e festival e diventa meta di vacanza per molti turisti che scelgono di immergersi nell’inebriante fascino e nella storia di questa terra. Una storia che è fatta anche di sapori e odori che da cinque anni sono celebrati dalla rassegna Niurumaru Wine Festival. Lo bevi, lo assaggi, lo ascolti è lo slogan che accompagna l’evento, sunto di quello che vuole trasmettere. La manifestazione è nata con l'intento di celebrare uno dei vitigni più rappresentativi della terra Salentina, il Negroamaro, promuovendo la qualità e l'importanza delle produzioni vitivinicole locali.
Questa nuova edizione si rinnova e si allarga: visitatori e turisti potranno godere della bellezza di cinque tappe selezionate ad hoc. A partire da Leuca, luogo dove si abbracciano i due mari (15-16-17 luglio, lungomare Cristoforo Colombo), passando per la costa Adriatica (Torre dell'Orso 22-23-24 luglio, lungomare Matteotti), lo Ionio (Gallipoli 29-30-31 luglio, piazza Aldo Moro), l'intramontabile Lecce (8-9-10 agosto, piazza Sant'Oronzo) e concludendo in bellezza con il punto più ad Est d'Italia (Otranto 19-20-21 agosto, lungomare Degli Eroi – Porta Alfonsina).
Vino, musica e ottimo cibo: la rassegna sarà arricchita dalla presenza del Teatro del Gusto nel quale si alterneranno le interpretazioni culinarie di eccellenti chef per gustare il meglio della cucina pugliese accompagnandosi a raffinati vini (5 euro un ticket valido per un piatto). Protagonisti del percorso saranno rossi, bianchi, rosati e bollicine di quaranta cantine delle Terre del Negroamaro. Un’esperienza sensoriale totale, esaltata anche da selezioni musicali differenti in tutte e cinque le tappe.
Come nelle scorse edizioni, il percorso di degustazioni sarà accompagnato dai Sommelier AIS che illustreranno le caratteristiche distintive di ogni etichetta e la storia di ogni cantina. Dislocati lungo il percorso, ci saranno gli infopoint a disposizione dei visitatori per l'acquisto del kit di degustazione che, al costo di 10,00 euro, include il calice in vetro, la pettorina porta bicchiere e 8 ticket di degustazione.
L’evento è organizzato dall’agenzia eventi White di Mari Chiriatti con mixer adv media partner Telerama di Paolo Pagliaro, per la direzione creativa di Antonio Bruno.

Caterina Sabato 13/07/2016

Le voci del Milite Ignoto. Dialogo con Mario Perrotta

"Milite ignoto" racconta di unione nazionale durante il primo conflitto mondiale che fu anche l'ultimo a coinvolgere direttamente ogni soggetto. Fu, cioè, combattuto da individui che impiegarono il sangue del loro corpo e che non sono stati annoverati tra gli ingranaggi di una macchina storica di bombe e proiettili sterminatori. In questo unirsi politico e affettivo vi è però una nota di discordia, la percezione dell'altro apre la consapevolezza alla presenza di realtà differenti e alla difficoltà relazionale tra esse.
“Il progetto compone un dittico insieme con "Prima Guerra" per ragionare sul senso del combattimento, un'occasione per portare a termine un percorso che facevo da tempo sui dialetti italiani nella convinzione che siano la vera grammatica delle nostre emozioni. Il pensiero emozionale e il vissuto si esprimono in queste "parole locali" e in un teatro, come il mio, che veicola le emozioni – parola aborrita da alcuni grandi esponenti – utilizzando la materia prima del dialetto. Da tempo mi interrogavo sulla possibilità di confondere ogni dialetto per costituire una nuova lingua. Fosse appartenuto a un altro tipo di spettacolo poteva apparire un esercizio di stile ma in questo caso diventa un esercizio strutturale, era fondante rispetto a ciò che accadeva in trincea: s'incontravano poveri cristi dalle campagne d'italia a scoprire la presenza di altri italiani. Ecco perché viene considerato il primo momento di unità linguistica, perché si tentò uno sforzo d'italiano per non morire”.

Non trovi paradossale che il termine "dialetto" sia etimologicamente accomunato al "dialogo", alla funzione stessa del parlare e del comprendersi? Esattamente come la "dialettica" che oggi indica il saper parlare adeguatamente. Parlandone in questi toni il dialetto parrebbe un codice comunicativo e non si penserebbe più all'incomprensione che invece si creò nelle trincee italiane e che uccise più uomini di quanti ne fece sopravvivere.
“Sono legati dalla particella greca dia "fra", essa accomuna il lògos del dialogo e il lektos del dialetto che condividono il significato ma hanno una discendenza dissimile. Entrambi riportano a un codice linguistico specifico e all'interazione tra due o più persone. L'italiano rimaneva una lingua dei documenti ufficiali, anche la piccola borghesia si esprimeva in dialetto nel suo territorio. Trovandosi al fronte il dramma della guerra si fonde al dramma della lingua, come le due etimologie. Un'occasione per il mio esperimento che sembra uno dei punti vincenti dello spettacolo, non per l'esercizio acrobatico di spingermi a dire una frase che contenga in essa più dialetti, ma per essere riuscito a fare accettare al pubblico la drammaticità della parola”.

Dici di aver trovato una giustificazione alla babele di lingue creatasi in trincea, nell'arretratezza culturale di un'alta percentuale della popolazione che per metà era ancora analfabeta. Oggi, quando non contiamo più la massa degli analfabeti totali di allora, assistiamo invece a un diffusissimo "analfabetismo funzionale". Una scarsa padronanza dell'italiano, appreso parzialmente a scuola e non ampliato nell'età adulta perché inutilizzato nella socializzazione o in contesti culturali, è come se rendesse ancora fragili e inefficienti gli individui.
“Due elementi devono essere messi in rilevanza: gli italiani da sempre hanno avuto una scarsissima attitudine alla lettura. Oggi la situazione è deteriorata a causa della rete e dei mezzi di comunicazione di cui siamo stati dotati: sicuramente costituiscono uno strumento tecnico straordinario ma con l'uso e l'abuso che ne è stato fatto si sono trasformati in sistemi aberranti. I centoquaranta caratteri hanno impoverito la lingua, chi approccia ora a questo metodo espressivo, i cosiddetti nativi digitali, potrebbe non conoscere quante possibiiltà gli fornisce il suo vocabolario.
Byung-Chul Han, un filosofo e docente sudcoreano, sostiene che viviamo in uno sciame comunicativo fatto di "emoticon" che surrogano le emozioni; io mi trovo preoccupato fortemente per coloro che non sono stati dotati di un'intelligenza linguistica prima di approcciare a questo tipo di espressione e fin dalla nascita hanno associato al significato un simbolo e non un significante fatto di parole, di segni. La forma del "ti amo" può essere un cuore ma la sua manifestazione pertiene al corpo, a due occhi che si guardano, a due bocche una davanti all'altra e ai relativi corpi che vibrano. Il teatro, in questo, è sensualità, erotismo e corpi gli uni di fronte agli altri, lontano dal mero coinvolgimento intellettuale”.

Quanto ai corpi che vibrano, in "Milite ignoto" il tuo è mobile solo per metà...
“Ti racconto un aneddoto: a Bolzano, durante una replica, venne da me una donna a giudicare il lavoro del mio corpo, aveva un accento straniero e non ho badato granché al posto dal quale potesse provenire. Era presa a scavalcare ad ogni costo la voce di altre persone con le quali parlavo in camerino per ripetermi quale notevole lavoro avessi fatto davanti ai suoi occhi. A cena con chi mi ospitava la trovai di fianco a me, fu un mio amico a dirmi che era una delle storiche danzatrici di Pina Bausch. Mi fece notare che anticipavo col corpo ciò che poi dicevo con le parole e lo facevo per istinto, lo facevo per esigenza comunicativa. Ciò che tra l'altro lo conferma è che nel ripasso di alcuni spettacoli mi accorgo che non riesco a memorizzare il dialogo senza muovere il corpo, non appena metto in funzione l'espressione fisica rammento nella sua totalità il copione”.

Un secolo fa, il 2 Ottobre del 1916, Giuseppe Ungaretti è a Locvizza e dedica ad Ettore Serra, un ufficiale conosciuto al fronte, la lirica "Commiato" scrivendo:
Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l'umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
Sembra che la poesia stabilisca una diretta connessione con la sfera affettiva: la parola, nello specifico, occupa il verso centrale della strofa circondata dall'abisso e dal silenzio. In questo senso non è un vocabolo ma uno strumento di penetrazione di un abisso personale. È lo stesso tipo di valore che ha la parola in "Milite Ignoto"?
“Assolutamente sì. Riservo la stessa attenzione alla parola quando, per esempio, guido un laboratorio teatrale, quando mi relaziono con attori professionisti e non. Chiedo, dopo aver letto il testo, di fissare un passaggio emotivo della lettura che non voglio conoscere e di cominciare a lavorare su ciò che l'immagine provoca nel corpo. Come traduco, ad esempio, l'abisso in azione fisica? Può capitare che l'attore lo faccia rimanendo in silenzio per venti giorni ma intanto egli sta costruendo una partitura fisica sulla quale si appoggerà successivamente ogni parola.
Quando parlare è vivere e non una speculazione filosofica, come Ungaretti scrive in "Commiato", nascono nello stesso centro che riconosciamo come centro emotivo. L'atto fisico del dire trae origine nel diaframma che insiste a spingere l'aria dallo stesso punto in cui nascono le emozioni: lavorando sul corpo allora si lavora allo stesso centro che presiede tutte le azioni. Quando lo spettacolo raggiunge il grado massimo di partecipazione, il pubblico inizia a respirare tutto assieme. Si sente un respiro unico che accelera e decelera a seconda della mia intensità e relaziona eroticamente la mia persona con le vostre”.

Francesca Pierri 13/07/2016

Pagina 96 di 130

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM