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Se l’Orologio chiude, suona una sveglia

Dopo 37 anni, nella notte del 16 febbraio, la Questura di Roma ha posto i sigilli al Teatro dell’Orologio. Alle 19.45, al termine della prima replica giornaliera de “I Combustibili” della compagnia umbra Teatro Di Sacco, in otto tra polizia di Stato, vigili del fuoco e ispettori del lavoro si sono presentati in via dei Filippini passando in rassegna tutti gli spazi del teatro: “Hanno voluto controllare tutto – ha dichiarato uno dei gestori, Gianluca Cheli - non c’era niente fuori posto, se non per l’uscita di sicurezza: ma sono 37 anni che è così. Ci abbiamo provato, con uno sforzo economico e di energie non indifferente, a risolvere il problema, siamo arrivati a tre metri dall’aprire quell’uscita, ma poi abbiamo trovato reperti archeologici e ci siamo dovuti fermare”. Perché a Roma è così, si sa: appena pensi di poter deviare una tubatura ti imbatti in un pezzo di Storia: “non c’era niente fuori posto, o sono 37 anni che siamo fuori posto. Hanno voluto controllare tutto. Era tutto in ordine, tranne ciò su cui non siamo mai stati a posto: l’uscita di sicurezza”.

E così, nel giro di nemmeno 48 ore Roma assiste alla chiusura dei battenti di due luoghi culturali storici della scena indipendente capitolina: nella mattina di giovedì, i vigili urbani della Capitale hanno eseguito il recupero coatto del Rialto Sant’Ambrogio, nel cuore del ghetto ebraico, sede, tra l’altro, anche di alcune associazioni tra cui il Forum dell’acqua pubblica. I sigilli sono scattati qui mentre era in fase di allestimento la mostra “Il corpo del Rialto”, a cura di Anton de Guglielmo e Rosa Martino.

Mentre si discute dell’opportunità di una ricollocazione del tifo calcistico, spuntano polizze vita come voragini sulla Tiburtina (ma 400 buche sono state coperte) e i tassisti si fermano per denunciare una manovra che agevolerebbe l’abusivismo di Uber, si è pensato bene, per dare un “segnale”, di chiudere in un solo giorno il Rialto e l’Orologio. Tutto questo quando ancora restano oscure le sorti di altri “luoghi perduti” e “messi in salvo” dall’occupazione con la promessa del loro rilancio (e vari milioni di euro già spesi). È il caso dell’Angelo Mai, il grande edificio al centro del quartiere Monti, il cui cantiere versa oggi in uno stato di totale abbandono: 9 milioni di euro già spesi per i restauri (ne servirebbero altri 5 per terminare i lavori).

E ce la mette tutta Alessandro Gassman, al grido di #poinunvelamentate, a denunciare il mancato inizio dei lavori promessi da Luca Bergamo (vicesindaco e già Assessore alla Cultura di Roma Capitale prima dello scoppio del terremoto giudiziario nella Giunta Raggi) per il recupero del Teatro Valle. Lavori che, secondo le parole anche del Sovrintendente Claudio Parisi Presicce, erano cominciati. “È ora di finirla con le chiacchiere – ha dichiarato l’attore in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera – solo degli stupidi non capiscono che per Roma la bellezza dei suoi monumenti, la sua storia rappresentano il suo vero tesoro”. Una ricchezza che sta svanendo anche dalle strade: è di pochi giorni fa la segnalazione da parte dei residenti del lento crepuscolo che sta avvilendo l’intero quartiere, con sempre più numerose saracinesche abbassate e i lampioni che si spengono su Via del Teatro Valle.

Anche il Teatro del Lido di Ostia è al centro delle cronache di questi giorni: dopo una già non facile ricollocazione all’interno del circuito dei Musei in Comune, ci si mette anche CasaPound: “Il Teatro del Lido è purtroppo una struttura che ha una chiara appartenenza politica aperta soltanto a chi ha una determinata ideologia e che organizza iniziative a senso unico”. E organizza un sit-in.

Il Teatro, dunque, nell’oblio delle istituzioni, trova aiuto nel Teatro: il Teatro di Roma, infatti, ha diffuso la notizia che accoglierà negli spazi del Teatro India le compagnie e gli artisti programmati all’Orologio, rimasti temporaneamente “senza casa”: “Quando si chiude un piccolo spazio teatrale è tutto il sistema culturale della città che ne soffre – si legge – è come in un ecosistema, dove accanto alla grande quercia crescono arbusti di piccola taglia e dove una fa bene agli altri e viceversa. Una città come Roma che vuole e deve tornare a essere una delle capitali internazionali della creatività e delle arti ha il dovere di salvaguardare e sostenere tanto i piccoli teatri off, dove si annidano spesso i talenti di domani, tanto i suoi teatri pubblici”.

Intanto Fabio Morgan, direttore del Teatro dell’Orologio, lancia per sabato 18 un appuntamento in piazza per dialogare sulle circostanze accorse ma anche informare coloro che da sempre seguono con interesse le attività del teatro. Alle ore 12,30 verranno fatte suonare delle sveglie – questo l’appello lanciato dalla “famiglia” dell’Orologio sull’evento Facebook “Sveglia / Riapriamo il Teatro dell’Orologio" – affinché si propaghi l’eco non di una protesta ma di un appello al buon senso, al buon vivere, alla consapevolezza che Roma ha ossa di Storia ma la dinamo che le spinge non può che essere nelle mani dell’Arte.

Federica Nastasia
17/02/2017

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