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Una voce, una chitarra e nulla più: The Leading Guy incanta il Quirinetta

Mar 04

“Io suono la chitarra perché mi lascia sognare ad alta voce”. Lo diceva il grande chitarrista americano Michael Hedges, ma queste parole potrebbero ugualmente essere sulla bocca di Simone Zampieri, in arte The Leading Guy. Il palco buio del Quirinetta, uno sgabello e un microfono: è tutto ciò che serve a questo ragazzo di origini bellunesi per conquistare la data romana del suo tour. La sua voce roca, densa e toccante si posa su una chitarra classica: sono gli unici due strumenti di cui il songwriter italiano dall’anima internazionale ha bisogno.

TLG usa poche parole di presentazione, calibrate in funzione di un dialogo con l’audience e di una spiegazione delle sue canzoni; canzoni che hanno quel brivido e quel potere attrattivo delle ballad anglofone, di quei brani in cui le emozioni sono il fulcro esistenziale e nei quali la musica è la migliore cornice per trattenerle. Forte dell’esperienza con i Busy Family, Simone ora vuole camminare con le proprie gambe, alla scoperta di una propria visione del mondo e del proprio potere interpretativo. Il suo album d’esordio solista “Memorandum” (2015) è un’ode alla riflessione introversa, al flusso di coscienza che prende forma di accordo, ai pensieri più intimi che dolcemente e lentamente si vengono ad esprimere e a elaborare, acquisendone coscienza. Una dichiarazione d’amore ai riflessi della propria anima. Parla di tutto senza bisogno di niente, The Leading Guy: usa un linguaggio universale, quello delle sensazioni, delle immagini vivide e semplici, così trasversale e senza confini da permettergli di esibirsi con successo in Italia come in Spagna, in Belgio come in Germania.

E’ un cantastorie contemporaneo in chiave folk, un narratore di melodie essenziali, un sarto che sviluppa semplici intarsi di arrangiamenti su testi in inglese spazianti dai ricordi d’infanzia di “Behind the yellow tree” alle memorie storico-sociali di “Memorandum”, dalle storie di artisti della vita come in “Moby Dick” o “Jordie Ribas” fino a una divertente cover dei Take That. Il pubblico viene stimolato, coinvolto e risvegliato nella sua totalità di essere emozionale, in modo invasivo ma non invadente, pervasivo ma non assertivo. “To see as the good sees” e “While the dogs are barking” sono i testi che racchiudono forse più di tutti la sua storia, la sua chiave artistica: una ricerca dell’emozione vissuta, sulla propria pelle ma anche tramite gli occhi degli altri, un’indagine nella banalità della vita per poi estrarne la semplice verità, un’analisi del presente senza dimenticare mai il proprio passato. Quello che ne emerge, alla fine della performance, è il grande potenziale di un giovane che con la musica è cresciuto, sulla musica ha scommesso e che di musica vuole vivere.


Giulia Zanichelli 04/03/2016

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