Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 625

Dove l’anima si frantuma: Tosca live all’Auditorium Parco della Musica

Gen 11

"Nulla altera le qualità materiali della voce quanto il fatto di contenere il pensiero" (Marcel Proust)

In tempi stonati come quelli che ci transitano davanti, non sempre voce e pensiero sono buoni compagni, e vederli accoppiati con criterio è ormai raro. Tuttavia è ancora desiderabile, e si gode tremendamente quando accade. Ci si scalda persino, se fuori i gradi di temperatura sono assenti. Con i suoi “Appunti musicali dal mondo”, Tiziana Tosca Donati riporta il desiderabile alla realtà per raccontare amori di confine e senza confine, canti epici, inni celtici e cori di pace, cori di lavandaie, matrimoni orientali, santi, navigatori e muezzin in festa.
Nel suo Libro dell’Inquietudine, Pessoa scriveva “La mia anima è un’orchestra occulta; non so quali strumenti suonano e stridono, corde e arpe, timpani e tamburi. Mi conosco solo come una sinfonia”. È un contrappunto tra il fuori e il dentro, tra dimensione interiore ed esteriore, quello che Tosca mette in piedi tracciando un percorso spirituale attraverso le lingue del mondo. Scavalcando per una volta la sua cronologia, lo spettacolo potrebbe articolarsi in 4 parole.
Voce. Quanti nomi si possono dare all’amore? Quanti nomi ci può dare l’amore? Tocca a “Il suono della voce”, folgorante intuizione di Ivano Fossati, rispondere. Il tempo si ferma, ed è giusto che accada. Perché al piano c’è Danilo Rea, e perché ci vuole un tempo salomonico per ascoltare quello che dice il suono della voce. E ne dice di cose il suono della voce di Tosca, in una serata intera. Se nella radice indoeuropea –vak– è nascosta poi l'accezione di canzone, nella voce di Tosca c’è la musica, che si articola nei suoni della lingua e nelle armonie messe in piedi dagli strumentisti formidabili con cui si accompagna: Giovanna Famulari (violoncello, piano e voce), Massimo De Lorenzi (chitarre), Carmine Iuvone (basso e contrabbasso), Matteo Di Francesco (percussioni e batteria). Nonostante si tratti di idiomi al più sconosciuti o mai sentiti, il pubblico può tranquillamente orientarsi seguendo il programma di sala che indica il titolo della canzone e la lingua. La musica, come racconta il fado etereo “A mesma mùsica”, si fa strada da sé, sozinha, passando per qualche baluardo portuale: la musica – con la voce – supera ogni confine e i confini finisce per raccontarli, da Tunisi a Lisbona a Istanbul fino a Mergellina, tra luci tremule e una lieve brezza oceanica. La musica può essere salvezza, nell’Africa degli Zulu. “Nongqongqo” racconta anche come la lingua, a volte, sia nemica dei sogni. Si staglia, ben nitida, la parola etilongweni, liquida al suono, ma tremenda e fredda per ciò che rappresenta, la prigione (di Mandela).
Coro. Anticamente simbolo di danza a suon di musica, il –choros– diventa il canto di una compagine. In questo senso, è un uso antico quello che Tosca ne fa, coinvolgendo le due coriste Fabia Salvucci ed Eleonora Tosto, materia morbida che sta plasmando all'Officina Pasolini. Con loro forma quasi un triangolo, che si apre e si chiude a seconda della lingua e delle vibrazioni vocaliche delle corde, toccate in gustose varianti. È un uso anche colto, che rende il coro parte fondamentale della polifonia. Non è facile rappresentare le atmosfere balcaniche senza usare i fiati – eccezion fatta per quello virtuoso di Gabriele Mirabassi, con cui l’ugola di Tosca duetta sontuosamente in “L’annunciazione” – lì dove regnano le fanfare e l’ottone è una lega musicalmente preziosa. Ma l’ensemble riesce a scarnificare quei suoni rendendoli più essenziali, primordiali, gutturali. In “Dumbala”, canto tradizionale rumeno, i cori si esaltano e l’energia si sprigiona in una lingua allitterante, dopo essersi sopita per lasciar spazio a note più dolci.

Interprete. Colei che spiega le voci di una lingua con le voci di un'altra lingua, che spiega i sentimenti di un altro, che li fa conoscere. Tosca è interprete, e mostra quante lingue ha la musica e quante musiche ha la lingua. Lo fa senza orpelli, in silenzio dall'inizio alla fine. Si tratta di eleganza, di attenzione a non spezzare la curiosità – o la suspance, se vogliamo –, di accortezza a non infrangere una parete riflessiva imponente, che non necessita di soluzioni di continuità ma che anzi, nella continuità trova la sua potenza. L'unico modo per interrompere il flusso è inserire piccoli sassi sottoforma di versi – nelle creazioni testuali di Massimo Venturiello si odono echi di Pessoa, Borges, Chatwin, Saramago – che formano un effetto cascata e fungono da acceleratore. Il respiro cosmopolita si lancia da un diaframma costruito sulla tradizione italiana. “Dimme 'na vota sì” porta in cuore la donna come simbolo floreale, paragone di antica matrice estremamente espressivo. A metà tra Napoli e la Francia c’è “Marzo/Mars”, riscrittura della poesia di Salvatore Di Giacomo. Gli andi-rivieni ritmici – costante cifra estetica e sonora del concerto – si piantano in Campania con il Coro delle lavandaie per poi spostarsi sull’isola, dove tra i fiori d’arancio, le zagare e i profumi di qualche vecchia pellicola, si scorge Ninì passeggiare per “Via Etnea”. Qui l’organetto di Germano Mazzocchetti orna mentre Tosca sale e scende con le vocali in un tango pieno di parole retrò. Dalle isole si risale verso Trastevere. Con il maestro Nicola Piovani al piano, la cantante romana interpreta un brano tradizionale ideato da Gastone Monaldi e poi perduto, recuperato dallo stesso compositore grazie ai canti familiari della zia Pina. La ricerca sfiora l’archeologia per rendere al meglio quei suoni nascosti dietro ai chiodi “appiccicati ar muro”, trionfale metafora di un amore martellante. L’atmosfera è impagabile, la pelle mostra i suoi tremori a ogni battuta. L’immersione nella tradizione popolare nostrana è di data più lunga (vedi gli omaggi a Gabriella Ferri e Roberto Murolo), e si abbina agli esperimenti con canzoni d’amore d’altrove, come la morna capoverdiana o “Comme s’il pleuvait”, tulle musicale che anticipa la venuta di Joe Barbieri. La freschezza dell’autore napoletano si manifesta in “Cicale e chimere”: Tosca siede accanto al suo ospite e swinga un rapporto tribolato che si barcamena tra passato, presente e futuro.
Epifania. Apparizione degli astri, luci poste in alto a bardare il palco, oppure appese a mo' di lampade e tende che si accendono a intermittenza seguendo il ritmo e la melodia. È gentile la regia di Venturiello, che si ritrova anche nei movimenti garbati e precisi, nella messinscena essenziale – si vira più verso il teatro, in effetti – che esalta la voce anzichenò. L’epifania segna la fine della crepapelle natalizia, e Tosca dà spazio a due brani di tradizione come “Adeste Fideles”, canto di chiamata a raccolta dei fedeli, e “Jingle Bells”, proveniente da un ottocentesco Massachussets ormai simbolo delle celebrazioni popolari. La peculiarità sta nell’arrangiamento quasi vichingo, che coinvolge platea e galleria assieme a “Prisencolinensiainciusol”, grammelot che esalta lo scat istrionico di Gegè Telesforo. Le lingue si possono anche inventare, e creano comunque un mondo nuovo.
Nella fine sta l’inizio: “Rumenya Rumenya” è una chiusa spettacolare, energica. Un inno nuziale, una gioiosa celebrazione dello Shabbat. Eppure canto yiddish, sacro e secolare, avvolgente come i tamburi, ipnotico come la lingua che batte sul palato per portare il ritmo della festa gitana. L’abbraccio conclusivo sulle note di “Vorrei incontrarti fra cent’anni” è caldo e sentito, spontaneo. Seguendo Pessoa, l'orchestra occulta è ormai manifesta: dove l’anima si frantuma, lo spirito si è ritrovato.

Appunti musicali dal mondo: confini e sconfini del suono della voce”, scaletta:

To tréno (greco)
Ibrahim (macedone)
Succar ya banat (libanese)
Dimme ‘na vota sì (napoletano)
Marzo/Mars (napoletano/francese)
Coro delle lavandaie (napoletano)
Il porto/A mesma música (italiano/portoghese)
Dumbala (rumeno)
L’annunciazione (italiano)
Nongqongqo (Mandela’s song) (Zulu)
Via Etnea (italiano)
Sogna fiore mio (dialetto ausonio)
Serenata a ponte (romanesco)
Scutam ess morna (capoverdiano)
Comme s’il en pleuvait (francese)
Facendo i conti (italiano)
Cicale e chimere (italiano)
Vin colindatori (rumeno)
Adeste fideles (iracheno)
Jingle bells (inglese)
Prisencolinensinainciusol (grammelot)
Il suono della voce (italiano)
Lume (rumeno)
Rumenya Rumenya (yiddish)

Foto: Auditorium Parco Della Musica

Daniele Sidonio 11/01/2017

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM