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#Rubik - Swans live a Bologna: tavolozza in scala di grigi

Nov 08

Bologna, Teatro Manzoni, un semifreddo sabato quello del 5 novembre. Non poteva che piovere. Iniziano così i live report, no? Insomma fa quasi strano sapere che abbiamo il posto a sedere e non dobbiamo metterci a sgomitare per stare davanti al palco ad un concerto del genere. (Quel posto a sedere comunque non è durato molto).
I atto: Anna Von Hausswolff.
Se in studio la Von Hausswolff ha tutta l’aria di un’artista che se la gioca con tastiere, synth e voce inserendosi in un profilo tendenzialmente indie pop, quello che poi risulta dal vivo è una caduta libera di suoni che parte dalla ballata dark folk per giungere al drone più massiccio, arricchendosi della sua incantevole voce. Un’architettura di suoni chimerica, riuscita in pieno, per la meritevolissima figlia d’arte dello svedese Carl Michael.
Questa dorata, piccola, eterea figura si è avvinghiata ai tasti e alle manopole del suo sintetizzatore, investendo subito le forze in un intro che ha dato solo l’assaggio di tutta la costellazione ambient dark, grazie all’eclettismo che hanno offerto i preziosi compagni di palco - Filip Leyman (synth/percussioni) e Karl Vento (chitarra) - inclusa la prestazione di Christoph Hahn degli Swans alla steel guitar. La voce è utilizzata in splendide vesti primitive e sacrali. Una soprannaturale consapevolezza, quella di avere questo strumento naturale il cui motore - tra la testa e il corpo - ha dato forma a quell’ancestrale scontro umano tra mente e cuore, anima e corpo, organico e inorganico.
II atto: Swans
Scordatevi delle melodie composte, dei ritornelli, della struttura canonica di un brano, scordatevi del tempo. Scordatevi del genere identificativo. Se fosse facile definire cosa succede quando Michael Gira&co. salgono sul palco si potrebbe banalmente ridurre a “fanno del post punk” la cui fibrosa e oscura vena industrial emerge in ogni piccola particella sonora. Non c’è nulla di chiaro, forse solo la barba di un paio di loro.
Se si dovesse capire davvero cosa succede quando gli Swans decidono di fermare il tempo e mettere sotto ipnosi un’intera platea bisogna andare a scavare dentro influenze sperimentali che li accostano trasversalmente a entità apparentemente distanti. Tra le tante Paul Walfisch alla tastiera aggroviglia in grappoli di note un tappeto di sottofondo che accosta tali sonorità a esperimenti progressivi [come ummagammate immortali del ‘69]; la cornice pesante della loro musica - ben intostata dalle numerose bacchette rotte sulla batteria da Phil Puleo e dai bassi di Christopher Pravdica - rende comprensibile l’importanza storica di una band che ha saputo attingere scrupolosamente alle varianti più contemplative del metal. Le preghiere infernali di Michael Gira, infine, coronano la loro musica di un fascino denso e apocalittico.
Ebbene dentro questa caratteristica cornice la band newyorkese ha saputo registrare una tavolozza in scala di grigi che non lascia scampo alla loro definizione maestosa. Vederli finalmente nel “privilegiato” contesto teatrale ha dato un rilievo ancora più fenomenale e dignitoso alla loro esibizione.
Un concerto che come una lunga sinfonia decide di non interrompere il flusso dei brani in applausi stranianti; decide di far percepire la loro esibizione come un’esperienza sonora ed estetica completa e compatta, perfetta.

Emanuela Platania 08/11/2016

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