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L’Orchestre d’Hommes-Orchestres al Monk, ovvero “l’assurda orchestra che dunque siamo”

Nov 03

Originalità e scardinamento le parole d’ordine. Estetica senza freni e luccicante perfezione le armi. Così l’Orchestre d’hommes orchestres - l'orchestra degli orchestrali - reinterpreta Tom Waits al Monk venerdì 28 ottobre.
L’ensemble canadese fondato nel 2002 porta a Romaeuropa una ventata di California mescolata a bucce di arancia e grammofoni, in una cartolina colorata e godereccia per chi ama la musica, l’ingegno artigianale e il teatro del fai-da-te.
De-costruzione, lettura altra. Scissione in sei parti del mito waitsiano. L’Orchestre forma un quadro polveroso come gli oggetti che suona per disorientare e portare al riso chi si aspettava di trovare le canzoni impregnate di bourbon del bluesman di Pomona.
I coreuti eliminano il marchio principe di Waits, il piano. Suonano tutto fuorché quello. Valigie a percussione, culle bacchettate, archi sfilacciati su una sega per simulare un theremin, bottiglie, tappi, caramelle, ditali, padelle, mazze da golf, forbici, cucchiai di legno tra i denti, stivali, spaghetti, guanti da box, cesoie e martelli sono affiancati a strumenti veri (chitarra, basso elettrico, banjo, armonica) in un’atmosfera a metà tra un quadro di Degas, un pezzo dei Platters, un concerto country, una scena di Mary Poppins. Sei corpi in un corpo solo, sei performance in un’unica danza (oppure quattro volti in un'unica cornice). Lo spazio è ristretto, i performer sono ammassati assieme ai loro oggetti, tutto diventa musica, tutto diventa una storia narrata magari fumando una sigaretta d’artificio che scintilla a un palmo dal naso o con un megafono. È una sovrimpressione in presa diretta, autentica e polposa, che trovava massima espressione nel 1900 con L’Homme Orchestre di George Méliès.


Il senso dell’operazione sta probabilmente nel mostrare la diversa natura umana, che dal sentimentale al rabbioso sfocia nel grottesco, nell’assurdo e nel comico e ritorno senza mai sbagliare strada. Quattro uomini e due donne – deliziose Gabrielle Bouthillier e Danya Ortmann – che si addentrano, un po’ giullari un po’ teoreti, nelle pieghe dei tasti neri e bianchi e creano un caleidoscopio architettonico e filosofico, una vera e propria sospensione di credulità.
Alla fine di Tom Waits rimangono le canzoni, l’aura fluttuante in mezzo all’ambaradan che riempie il nebbioso palco del Monk e il timbro vocale degli interpreti.
L’uomo è un’orchestra, parola di Méliès.

Sul palco:
Bruno Bouchard voce, man band, chitarra, valigia, spaghetti, violino
Jasmin Cloutier voce, chitarra, banjo, megafono, stivali
Simon Drouin voce, armonica, taglio del legno, forbici, guantoni da boxe
Simon Elmaleh voce, basso elettrico, martelli, baby culla Ospiti
The New Cackle Sisters Gabrielle Bouthillier + Danya Ortmann voci, teiere, fazzoletti

Daniele Sidonio 03/11/2016

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