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Premio Tenco 2016, racconti da un luogo dello spirito

Ott 31

"Ma confondendo i viaggi con la loro parodia,
i sogni con l'azione del partire,
di tutte le sue vite vagabondate al sole
restavan vuoti gusci di parole" (Francesco Guccini, Gulliver)

Al ritorno dai suoi viaggi, Gulliver tentava invano di condividere la propria esperienza con i compagni, ma è difficile trasmettere il senso di un viaggio, di un incontro, o di una persona. La conoscenza è distanza che separa. Così narrare sembra un tentativo di sospendere il tempo e cucire quello strappo che la conoscenza di una determinata storia – e dell'esperienza che si porta appresso – provoca tra chi l'ha vissuta e chi no. È difficile raccontare il Premio Tenco, il suo senso, i suoi incontri, le sue persone, il suo tempo. È difficile perché si colloca esattamente a metà tra i sogni e il partire, tra la memoria e la realtà.
Il Premio Tenco è un luogo dello spirito. Pnèuma, per l'esattezza. Principio vitale di ogni organismo che calca i viali sanremesi e si accomoda sulle rosse poltrone dell'Ariston. Soffio e sinonimo di vita e forza, melodia che ogni anno si ripete e cambia, ovvero si rinnova. È spirito come la musica, regina indiscussa di tre giorni vissuti in punta di piedi o comodamente sbracati su uno spartito, o placidamente seduti a pranzare in riva al mare.
Il Tenco è un luogo e un'isola gucciniana e gozzaniana, che "nessuno sa se c'è davvero od è un pensiero". È lì, dov'è sempre stato. Eppure per arrivarci bisogna partire, non basta desiderarlo. Lo spazio è ampio, il tempo dipende da azione e desiderio, da bilanciare e differire perché solo così – e questo al Tenco trova la sua massima espressione – si può rendere la vita arte dell'incontro.
"Un altro Tenco è andato, la sua musica ha finito". La sua meraviglia sta nella naturalezza. È naturale mescolare personalità, generazioni e idee molto differenti, un po' il contrario di ciò che accade fuori, nel mondo che si abbrutisce e si abbarbica attorno alle convenzioni e alle convinzioni. Idee che trovano subito terreno fertile di discussione dopo la serata di giovedì 20 ottobre – la più dimessa delle tre – aperta da un emozionato Peppe Voltarelli e chiusa dall'esibizione di Francesco Motta.

A suo dire molto più intensa di quella del MEI di settembre, anche se sembra essersi accodato al tono più mesto – nonostante i suoi suoni non lo siano affatto – dei colleghi sul palco prima di lui. I suoi testi non arrivano a tutti, si fermano a metà strada tra la forma e il contenuto, ma sul contesto sonico e vocale che circonda le sue esibizioni c'è poco da dire. Un prodotto imbastito con i fiocchi che però contiene idee del (e sul) suo tempo e le sputa in faccia a tutti in modo ruvido. "Se continuiamo a correre la polvere negli occhi" canta in uno dei brani forse più potenti del suo disco "La fine dei vent'anni".


Un invito a fermarsi, a pensare, senza più perdere il tempo. Al Tenco questo succede, nella misura in cui si dà la giusta attenzione alla parola e al suo contorno, alla musica e alla sua polpa, che si tratti di conferenze mattutine o degli incontri che rimpinguano il pomeriggio prima di una corsa verso una sala vuota. L'Ariston durante le prove è un inno al silenzio e all'ascolto, un momento intimo in cui si annusa, rannicchiati in prima fila, l'accortezza di ogni artista per la propria creazione. Il suono migliore è stato trovato, ma poi tutto cambierà, e il suono migliore sarà un altro, e sorprenderà tutti.
La sorpresa a volte si fa meraviglia e riempie il palco la sera del 21 ottobre. La meraviglia porta il nome e l'eleganza di Claudia Crabuzza, che con il suo catalano algherese ha fatto della virtù una necessità. È l'edizione dedicata ai migranti, all'integrazione fra popoli, e la seconda serata – unita al set sabbioso del pastore Bombino del giorno prima – ne è la prova. Si mescolano il fado etereo di Lula Pena, l'altissima musica di pace di Enzo Avitabile e Amal Murkus.


E ancora la dirompente fisicità di Gianluca Secco, l'aura barbuta di Francesco Di Giacomo che accompagna gli amici Paolo Sentinelli e Andrea Satta in "Bomba intelligente" – un momento davvero toccante – il folk-rock "sottovalutato" di Stan Ridgway e la deflagrazione emotiva di Niccolò Fabi.


Musica, premi, cotillon e papillon, come quello che Morgan regala ad Antonio Silva – strepitoso presentatore insegnante, intrattenitore colto e goliardico – prima di calare il sipario sul Tenco n. 40 con i bis di "Lontano lontano" e "Quando" di Luigi Tenco, barlume di libertà da cui tutto è nato. È in sua memoria la serata del 22, condita da artisti provenienti dagli ambiti più variegati – Noemi, Roy Paci, il rapper Kento, Ascanio Celestini, Diego Mancino, Marina Rei, Alfina Scorza e Vanessa Tagliabue Yorke (che brave!) – tenuti, schierati e lanciati dalla direzione mastodontica di Mauro Ottolini, incorniciati dalla sapienza dell'Orchestra Sinfonica di Sanremo.
Due menzioni a parte. La prima è per Ivan Talarico. Teatrante in primis, cantautore in secundis, ma forse poco importa. Voce fuori dal coro, decervellatore razionale, elegantemente drammatico, strappa un riso a chi comprende la credibilità della sua arte. Applausi meritati per lui e per il Club Tenco, coraggioso e capace di ascoltarlo.
La seconda è per Bocephus King. Lo scorso anno con "Autogrill" di Guccini aveva steso tutti. Nonostante suoni l'ultima sera è l'anima felice della rassegna per tre giorni. Saluta chiunque, scalzo come la sua sincerità, abbozza qualche parola in italiano, suona e canta Tenco in inglese con la leggerezza di un bagno caldo. Artista fenomenale.


Il Premio Tenco è un luogo dello spirito. Spirito divino, spirito di-vino che si manifesta nei luoghi principi dell'Infermeria – con le sue pareti impregnate di storie che in molti hanno vissuto ma che probabilmente nessuno ricorda, quindi le migliori – e del dopo-Tenco, dove la musica si manifesta nella sua natura più godereccia. Qui accade qualcosa che fuori non si vedrà mai, ormai: dieci, dodici persone riunite attorno a un tavolo senza telefonino in mano. È la condivisione, è il ri-conoscersi, è la cum-versazione.
Le prime volte difficilmente si dimenticano, come le canzoni con l'anima in spalla e tutte le storie che si portano addosso. Il Premio Tenco è un luogo dello spirito, che è necessario – come necessario è fare e parlare di canzone d'autore, checché se ne dica – per etimologia e antonomasia. Il Premio Tenco è un luogo dello spirito, che spesso e volentieri è causa, ma anche e soprattutto rigenerante effetto.

Daniele Sidonio 31/10/2016

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