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#Rubik - Ne “La fine dei vent’anni” il nuovo inizio di Francesco Motta

Apr 19

Fa caldo, c’è buio e non si trova posto nella sala del Quirinetta, sabato 16 Aprile. Sarà perché quelle due ore di ritardo sulla tabella di marcia del Roma Folk Fest hanno permesso a tutti, ma proprio tutti, di prendere comodamente posto, munendosi di birra e santa pazienza. E avremmo detto che quest’ultima sarebbe tornata utile quando Lucio Bu-Cho Leoni, accompagnato dal suo fedele menestrello, ha deciso di sfruttare i suoi quindici minuti da gruppo-spalla mitragliandoci con parole in coatto. Il nervoso sarebbe ufficialmente sopraggiunto se, dopo il primo brano, questo stravagante paroliere non fosse riuscito a strappare un applauso unanime con il suo “A me mi”, un flusso di coscienza in cinque minuti di apnea. Augurandogli solo il meglio (perché nel suo mazzo qualche asso giusto l’abbiamo intravisto), lo abbiamo calorosamente salutato per immergerci ufficialmente nel cuore della serata.
Protagonista del Folk Fest del Quirinetta era infatti Francesco Motta, che dopo aver preso il largo dal suo gruppo natale Criminal Jokers, porta avanti la divina arte del suono come solista. Da buon toscano, non è arrivato a Roma a mani vuote, trasportando nel suo ricco bagaglio a mano l’ultimo album “La fine dei vent’anni”, firmato dalla fiducia di Riccardo Sinigallia, per la Woodworm Label. Questa tenera combinazione d’aspetto tra Giacomo Leopardi e un Beatles riesce subito a catalizzare la nostra attenzione saltellando da una parte all’altra del palco che condivide con i suoi quattro musicisti. Il tiro di Cesare Petulicchio alla batteria è rafforzato dall’energia inarrestabile di Motta che, oltre alla voce, presta alle sue canzoni anche chitarra e percussioni; nella sezione corde il primo plettro è quello di Giorgio Maria Condemi, supportato dal basso di Laura Arzilli e, per una cover, dall’amico Francesco Pellegrini, entrambi non previsti nella formazione titolare del tour. Le tastiere (forse un po’ basse) di Leonardo Milani hanno chiuso il cerchio di quella che si presenta, per vitalità e grinta, più come una metal band che un gruppo folk-rock. Ma nelle sonorità, e soprattutto nei testi, ci hanno dimostrato quanto sia sbagliato credere che oggi in Italia la musica sia appannaggio esclusivo degli ormai blasonati talent televisivi.
“Del tempo che passa la felicità” e “Prima o poi ci passerà” sono quei brani che, già dopo il primo ascolto, si desidera indossare per dare il ritmo giusto ai passi di una malinconica mattinata o per invertire la rotta di una serata andata male. Con “Sei bella davvero”, “Mio padre era un comunista” e “La fine dei vent’anni” si cambia registro, sia testuale che ritmico. Motta lo incide nelle sue copertine e ancora di più nelle sue parole: il tempo delle mele è finito, adesso si fa sul serio. Testi densi, armonie non scontate e una buona dose di adrenalina sono gli ingredienti principali di quella che sembra essere la vera nascita di un artista che si sta guadagnando la sua più che meritata fetta di successo.
Buon appetito Francesco, noi ora abbiamo di che meditare, passeggiando per le tiepide vie di Roma.

Per Rubik, Elena Pelloni 19/04/2016

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