Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

Lo Zar Sokolov incanta l’Auditorium di Roma

Apr 19

Nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica, la sera di venerdì 15 aprile 2016, si è compiuta una magia. La magia di Grigory Sokolov.
Questo signore ormai distinto settantenne, dall’aureola di capelli candidi e le spalle un po’ ricurve, ha saputo coinvolgere e attrarre a sé un pubblico vario e disparato, che lo aspettava da tanto e già lo sta rimpiangendo.
Schumann e Chopin sono i protagonisti di un programma virtuoso e al contempo di estrema ricerca espressiva e interpretativa. Ed è proprio in questo dualismo che risiede il genio del pianista russo: nel saper coniugare alla perfezione questi due tratti spesso posti in contrapposizione, nel non risultare mai tecnico anche quando di tecnica ne serve in abbondanza, nel non abbandonarsi mai a stucchevoli artifizi romantici senza però risultare rigido e duro.
La prima parte del concerto è dedicata a Robert Schumann: l’Arabeske in do maggiore op. 18 è perfetto nella sua semplicità, nella riproposizione chiara di ogni tema e nella creazione di quell’effetto sfumato, di quello scorrere di note. “Leggero e tenero”, scrive Schumann come indicazione per l’esecutore: Sokolov rispetta alla lettera la consegna, tenendoci per mano e conducendoci dentro al suo concerto. Le danze si aprono veramente con il brano successivo: la Fantasia in do maggiore 17. Questo pezzo, uno dei più difficili da eseguire allo strumento, assume connotati del tutto particolari: il pianista sposta leggermente alcuni assetti interpretativi consolidati, ad esempio trattenendo in punti dove il nostro orecchio è solito udire il trionfo della potenza, segno della sua profonda immedesimazione e reinterpretazione della partitura. Il pezzo trova sempre vigore, nuova potenza espressiva proprio da questa meticolosa ricostruzione specifica.
Dopo un intervallo che pare eterno, arriva il momento di Fryderyk Chopin: ed è pura estasi. Si ripete il gioco della prima sezione: grazie ai Notturni op. 32 n. 1 e n. 2, l’esecutore crea un clima intimo connotato da quell’equilibrio tra pathos e introspezione, quel sogno in una notte di mezza estate, quel respiro e sospiro tra le stelle che il nome stesso evoca nei nostri pensieri. A seguire, esattamente come nella prima sezione, arriva il pezzo più sostenuto: la Sonata in si bemolle maggiore op. 35 scritta dal compositore a soli diciassette anni, della quale la Marcia funebre del terzo movimento rappresenta l’apice creativo e drammatico.
Sokolov è maestoso, non eccede e non ritiene: il suo concerto riflette la sua anima, composta ma appassionata. Egli si fa specchio di emozioni senza lasciarle trasbordare, è in grado di ammantare i suoi ascoltatori senza assopirli con banalità e meccanicità o sommergerli con inutili sovrastrutture.
Il suo concerto è una poesia d’amore alla Musica, fiamma di un amore così puro e vero da alimentare - per nostra fortuna - il continuo desiderio di dichiararlo.

Giulia Zanichelli 19/04/2016

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM