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#Rubik - Public Service Broadcasting: il satellite si emoziona

Mar 18

Come viaggiare dentro una nebulosa di suoni e storia, l'iconografia si reinventa nel ricordo fantasmagorico rimasto impigliato nelle onde radio degli anni Ottanta. Gli occhiali spessi, la camicia a scacchi, la giacca marrone, la riga di lato, pure il papillon a castigarli. Insomma sì, lo state pensando anche voi, una manica di hipster. I Public Service Broadcasting riescono in qualche maniera a sollevarsi inspiegabilmente da tutto il resto perché stanno portando avanti una specie di percorso inverso. La loro musica non sperimenta l'elettronica mettendo le mani in pasta nella creazione; loro sembrano essere venuti dal passato, citano il “ritorno al futuro” e sperimentano il gap degli anni Novanta e Duemila. Il loro lavoro dunque si percepisce dalla reinvenzione di ciò che abbiamo abbandonato nella polverosità di un ipotetico archivio di voci e suoni. Il loro modo di fare musica si distanzia dall'umano e allo stesso tempo se ne percepisce un'avvolgente emozionalità che ci fa perdere in un vortice dai colori marziani tra le carte ingiallite riempite di equazioni. La decisione di campionare la voce che diventa accompagnamento strumentale, fa della loro procedura algebrica del suono, un'opera d'arte concettuale che non si nega all'intrinseca bellezza dell'orecchiabilità. Un'immensa, affascinante e potentissima boccata d'aria nerd.
I Public Service Broadcasting sono in due: J. Willgoose Esq. che si destreggia con chitarre, banjo tastiere, computer e sintetizzatori; Wrigglesworth alla batteria e alle elettroniche, più un turnista prezioso, indispensabile al gruppo, al basso e alla tromba. Tutti rigorosamente londinesi, con influenze pregnanti e disparate: Lcd Soundsystem, Luke Abbot, Metronomy, Doc Watson. Se si dovessero comparare poi alle influenze passate il carico si triplica di nomi e generi che non stiamo qua ad elencare. Irresistibili, provocherebbero il “gusto” di qualunque orecchio. Il duo non scampa a certa new wave, ma anche al post rock su certe fasi, mentre sono sicuramente assimilabili all'abusato contenitore dell'indie rock di cui ancora bisogna capire troppo (a livello di stile e produzione). Tutto questo si rende chiaro esclusivamente dal vivo. Il live rende conto di molti aspetti. Rivela una potentissima energia che stravolge in parte la resa dell'album in studio. Probabilmente questa è una scelta di genere per cui è preferibile la freddezza che sbilancia l'attitudine della loro musica verso la componente elettronica e del campionamento. Non mancano i pezzoni. L'ultimo album “The Race for Space” (2015) ricompone la loro integrità umana verso un rock puro e alternativo, più ruvido e originale che potrebbe raggiungere grandi traguardi.

https://www.youtube.com/watch?v=_u4Md_aXVJE 

Dal concerto al Quirinetta del 12 marzo

Per #Rubik, Emanuela Platania 17/03/2016

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