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#Rubik: gli inglesi The KVB riaprono l’asse Roma-Berlino ed è subito grinta

Mar 18

C’è chi li associa al dark wave e all’industrial, qualcuno li vorrebbe figli del synthwave o dello shoegaze, in ogni caso non li si può dimenticare quando si parla di krautrock o di post-punk. E di tutte queste definizioni – che confermerebbero a nostra nonna che la musica rock ha distrutto il buon costume - i The KVB non ne accettano una. Sì, perché il giovanissimo duo britannico, oggi trapiantato nella più sinestetica Berlino, odia e rifiuta qualunque tipo di etichetta: vena ribelle che non possiamo che apprezzare e condividere.
Nicholas Wood e Kat Day, coppia fissa anche nella vita, spingono la loro idea di musica ai confini della performance, confermando ancora una volta –tanto a noi, quanto ai nostri tempi- che essa scuote indistintamente tutti e cinque i sensi.
Così, martedì 15 marzo, sul palco del Quirinetta hanno portato loro stessi, i loro strumenti e una video installazione che dà prova persino delle sorprendenti doti grafiche di cui dispongono; ed è tutta farina dello stesso sacco.
Lui alla voce e alla chitarra, lei ai mixer e al synth - entrambi vagamente gotici in pose ed espressioni - danno inizio al concerto caricandoci come molle e fondendo le distorsioni elettriche della chitarra con un ritmo pop-rock da pogo. I primi infatti iniziano già a saltare sulla pista che nuovamente (e questo ci stupisce sempre) accoglie una fascia d’età che ci spinge a credere che la sala del Quirinetta sia in realtà il vero set di Ritorno al futuro. Dall’adolescente ai sempreverdi – anta, un’onda di corpi ondeggia a ritmo di musica ed è perfettamente accarezzata dai fari delle luci psichedeliche e stroboscopiche. A catturarci definitivamente, rendendo l’atmosfera tra l’immateriale e l’ipnotico, sono le immagini di colonne doriche e grattaceli tridimensionali che continuamente ruotano, mutano e scorrono nelle proiezioni alle loro spalle.
Partono energici i The KVB, toccando le ritmiche del trip hop che assumono quel qualcosa di immaginifico e onirico al quale partecipa anche la voce liquida di Nicholas Wood. Ci fa pensare ad un James Dean tutto europeo nella sua posa un po’ ingobbita e nei suoi lenti movimenti sensuali, soprattutto mentre, con lo scorrere dei battiti, trasforma la sua cinque corde un po’ distratta verso un progressive rock secco e metallico.
In continua ricerca e affamati di novità, non si può che apprezzare il lavoro di questi figli della generazione Y che, contrariamente a quel che molti (tra cui nostra nonna) pensano, per nulla sanno di Gioventù bruciata.

Per #Rubik, Elena Pelloni 17/03/2016

Immagine originale: Emanuela Platania

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