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Flow, Home: tutto si trasforma e poi torna a casa

Apr 04

Non è facile pizzicare una chitarra elettrica come fosse una classica. Specie se si tratta dell’ostico manico di una Gibson. Se si aggiunge poi, che il tutto viene fatto ad occhi chiusi, seguendo il controcanto di una tromba, l'impresa potrebbe risultare al limite del titanico.
È con queste premesse che Francesco Diodati, leader degli Yellow Squeeds, ha aperto il concerto di giovedì 31 marzo, a Il Cantiere, da lui stesso definito “il posto più bello per fare musica a Roma”.
Progetto messo in piedi nel 2013, questo freschissimo quintetto di giovani talenti jazz è in tour con il primo album “Flow, Home”. Ricerca è la parola chiave che ha spalancato fin da subito le porte del nuovo impianto musicale: introducendo il pianoforte di Enrico Zanisi e i fiati – bombardino e bassotuba - di Glauco Benedetti, Diodati ha infatti dato nuovo stimolo alle sue timbriche e rinfrescato una sonorità che trova perfetto equilibrio con la tromba di Francesco Lento e l’imprevedibile batteria di Enrico Morello. Non a caso Flow, Home, oltre a collocarsi come strumento indagatore nella scena jazz contemporanea, si pone come vero e proprio manifesto di un’idea musicale in grado di restituire, al fine, movimento e solidità. E dal vivo, il “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” degli Yellow Squeeds è in grado di catturare occhio e orecchio di chi assiste a quella che, più che una semplice esibizione, appare come una vera comunione.
Home, a casa. È lì che ti porta la seducente melodia di cinque strumenti perfettamente equilibrati tra loro, tanto da rendere possibile l’assoluta trasparenza tra le potenti tonalità di tromba e pianoforte e la virtuosistica ma sottile vibrazione della chitarra. Creano, scompongono e armonizzano un movimento che, fluendo tra le caldi braccia del bassotuba, riporta dolcemente alle radici, come trascinato dalla marea. E mentre si è seduti, cercando di capire o afferrare qualche nota, ecco che si viene inconsapevolmente trasportati alla deriva, dove infinite armonie si trasformano in immagini familiari che, inspiegabilmente, restituiscono un profumo di casa. Così, mentre Believe termina sul farsi di un’alba, Casa de Amor ci riaccende inevitabilmente in una calda malinconia che, guarda caso, sa di romantico.
È così che sul palco del tenace Cantiere di Roma (che rappresenta un effettivo angolo di paradiso per la musica underground della capitale), gli Yellow Squeeds ce le hanno cantate e suonate, Diodati in primis: sussurrando con la voce i passaggi più virtuosi della sua chitarra, rivela il sintomo di chi, evidentemente, prova un vero e proprio flow per quello che fa.
Sul finire, due esibizioni estemporanee, come quella del contrabasso di Matteo Bortone, hanno indubbiamente riservato una sorpresa in quello che si è dimostrato uno spettacolo molto apprezzato dai numerosi jazzofili presenti, i quali, fortunatamente, custodiscono queste piccole ma necessarie perle di musica nostrana.

Elena Pelloni 04/04/2016

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