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Addio a Gianmaria Testa e Giorgio Calabrese, il mondo è un po' meno bello

Apr 03

"E all'orror de' notturni
silenzi si spandea lungo ne' campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzare di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a' moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto" (Ugo Foscolo, Dei Sepolcri)

I detti popolari non vanno mai presi sotto gamba, sanno e possono essere impietosi. Come questo 2016, bisesto e funesto, al quale forse dovremmo rassegnarci. La morte di Gianmaria Testa e Giorgio Calabrese conferma questo come l'anno che spazzerà via dal mondo tanta bellezza. Al netto di chi parte e di chi resta, sciogliere la contrizione ed elaborare un pensiero sensato diventa sempre più complesso e meno utile, più stancante e meno insolito, troppo frequente. 
Due colonne della nostra musica, pezzi pregiati che ormai divengono sempre più rari in una realtà che premia il pensiero medio e svilisce – perché non capisce, o non vuol capire – la cultura. Cuneese uno, genovese l'altro. Generazioni diverse, anime nobili. Cantautore autentico il primo, paroliere raffinato il secondo. Calabrese ha visto nascere e ha fatto crescere la canzone d'autore italiana, regalando i suoi testi prima a Umberto Bindi – da "Arrivederci" del '59 a "Un giorno un mese un anno" del '60 fino a "Non mi dire chi sei" del '61 – poi a Fuasto Cigliano e Gene Pitney, che portarono a Sanremo 1964 "E se domani", divenuta pietra miliare della musica nostrana grazie a Mina. Scopritore di Ornella Vanoni e Orietta Berti, figura onnipresente nella storia dello spettacolo italiano, dalla canzone alla radio alla televisione.
Gianmaria Testa era una di quelle voci che cantano come dietro una finestra, una di quelle figure che restano dietro a un vetro opaco – o "dietro una porta a guardare che spiove" – e ti costringono a tendere l'orecchio e ascoltare: "Ta-tarattatirattirattà, tattirattirattà, tattirattirattà", come sussurra all'inizio di "Preferisco così". Testa è volato via a 57 anni – costretto a interrompere una carriera già deliziosa, una produzione già eccelsa – ma avrebbe potuto arricchirci ancora collezionando altre perle, raccogliendo altre storie. Storie di ultimi e disagiati, di migranti e disgregati, di problemi reali dibattuti tra parole e note con acume, gentilezza e rispetto.
È un anno così, fatto di gente che se ne va sempre troppo presto e "senza troppo rumore". Restano le loro impronte, resta il loro pensiero, restano le loro opere, che "a egregie cose il forte animo accendono". Restiamo noi, un po' più poveri.

Daniele Sidonio 04/04/2016

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