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Evitare il rock 'n' roll: Blackstar di David Bowie

Gen 09

Si scrive "★", si legge "Blackstar". Disco di inediti n. 27 di David White Duke Bowie, che riappare sugli scaffali a tre anni da "The Next Day", suo album di ritorno dopo un decennio di silenzio.
Ciò che balza subito all'orecchio è la natura sperimentale della musica e della scrittura di Bowie, ben rappresentate dall'eclettica, scura e ipnotica compagine filmica dei due singoli "Blackstar" – emblematica title track, suite per un cortometraggio di 10 minuti – e "Lazarus".
Ciò che balza all'orecchio è anche l'assenza, quasi totale, di atmosfere e ritmi rock. Per volere stesso dell'autore, che ha cercato – riuscendoci – di tracciare una linea di separazione tra questo progetto e quello del 2013. Ci sono invece l'elettronica, il jazz – leader dei fiati il sassofonista Donny McCaslin – il prog, il fusion, il drum 'n' bass. "Blackstar", prodotto da Tony Visconti, è un disco dall'ascolto complesso, composto di sole sette tracce (la più corta è di 4 minuti e 40), due delle quali già edite nella raccolta del 2014 "Nothing has changed": "Sue (Or in a season of crime)" e "Tis a pity she was a whore", vere e proprie valchirie elettriche esaltate dalle percussioni di Mark Guiliana.
In mezzo, non a caso, c'è "Lazarus", brano che con un mix di rock, blues e noise dà il titolo al musical dello stesso Bowie e di Enda Walsh che ha debuttato al New York Theatre Workshop lo scorso 7 dicembre. Il tema soprannaturale si bacia con un testo da "turbina nel cervello", l'incipit "Look up here, I'm in heaven" è dark, suggestivo e magnetico come il flusso di sax che accompagna tutto il pezzo.
Il Duca Bianco realizza un caleidoscopio di suoni e voci, avvicinandosi più alla dimensione della musica strumentale che a quella della canzone. Fanno forse – forse – eccezione le ultime due tracce "Dollar Days" – qui le tastiere di Jason Lindner si esaltano – e "I Can't Give Everything Away". L'ascolto procede per minuscoli pizzichi, i ritmi sono ora fluidi ora sincopati, si passa dalla ballata al drum alla robo-elettronica in un istante.
La dimensione biblica dell'impostazione vocale e corale domina tutto il disco. Canti e controcanti gotici, da cripta, rendono altrettanto criptici – come in "Girl loves me" – e solenni – come in "Blackstar" – i testi in cui si cela una componente spirituale. Un disco che avrebbe potuto essere la colonna sonora di "The Man Who Fell to Earth", celebre film del 1976 in cui Bowie interpretava l'alieno Newton, evocato dalle atmosfere celestiali e spaziali dell'album.
Un disco a-commerciale, fuori dagli schemi, un disco di David Bowie. È sempre un piacere, Duca.

Daniele Sidonio 10/01/2016

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