Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

“Devi suonare l’armonica finchè la bocca non sanguina”: De Gregori al Parco della Musica

Lug 04

Ci sono concerti, a volte, che riescono a diventare magici. Sono quelli dove musica e parole si fondono in un corpo solo, dove le emozioni si toccano e rabbrividiscono nell’aria brulicante di note, dove le generazioni si incontrano di fronte alla potenza dell’arte in un estasiato, terso silenzio.
L’incantesimo effervescente creato da Francesco De Gregori sabato 2 luglio è esattamente uno di questi giochi di prestigio.
Sotto il soffitto di stelle della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, che già logisticamente apre un varco di sospensione temporale tra sogno e realtà, c’è una fata turchina barbuta, nascosta sotto un cappello e occhiali da sole scuri, che agita la sua inesauribile bacchetta e ci ricopre di sfavillanti e preziose scintille sonore.DeGreg
I posti vuoti scarseggiano, nonostante la concomitante partita della Nazionale. Come dice il cantautore stesso, le ragioni possono essere due: o non ce ne frega niente del calcio, oppure gli vogliamo veramente bene.
Ma si sbaglia, in entrambi i casi: noi non gli vogliamo bene. Non gli si può volere bene, un piatto, muto e insapore bene, a De Gregori.
Bisogna affogarci dentro, a lui e alla sua estetica, come anime in cerca di battesimo. Bisogna sprofondare a piedi pari nelle sabbie mobili della sua musica, percepirla come materia fisica per i sensi, esserne travolti e trascinati.Tutto il resto viene dopo, è contorno, è alone.
I nostri sguardi fissano senza riuscire a scostarsene quest’uomo che passeggia sul palco come fosse nel giardino di casa, che applaude e dà luce ai suoi numerosi musicisti, che alterna esecuzioni immortalmente perfette dei suoi grandi successi alle traduzioni rivisitate di “quell’americano che da quarant’anni gli copia le canzoni”, Bob Dylan.
Cantare è la sua natura, come per noi respirare: è la sua sostanza, è ciò che lo compone. E, proprio perchè sono materia viva, la sua musica e i suoi testi non sono fermi, non sono ancora - e mai saranno- stanchi.
Le canzoni - quelle vere- non si spengono, non si cementificano in blocchi granitici di spartito nè si fossilizzano tra gli accordi. Sono vive, brucianti e cangianti. Nascono, crescono, muoiono e risorgono dal sangue, dall’orecchio e dall’estro di quegli artisti che la variazione l’abbracciano, anzichè evitarla con terrore.
A noi sta assorbire il loro riverbero creativo, farci prendere in piena faccia dall’onda d’urto che una chitarra, o un pianoforte con violino, o un’orchestra ricca e un pò funky sono in grado di creare e riproporre.
Grazie Francè, ce la siamo proprio assaporato tutto, il tuo concerto. “Senza dire parole, nel mio cuore ti porterò”

Giulia Zanichelli 05/07/2016

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM