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“Museo Pasolini”, la vita artistica e letteraria di uno dei più grandi pensatori e letterati italiani

Poeta, saggista, pensatore, giornalista, regista, drammaturgo: classe 1922, Pier Paolo Pasolini è stato tra i più grandi ed eclettici intellettuali della storia moderna. Declamare il suo nome è come comprimere in un’unità la complessità e l’immensità di tutto un periodo storico. Lui, cronistoria personificata di tutta un’epoca che ha segnato e segnerà l’umanità intera.

Avido lettore e giovane esordiente, Pasolini sviluppa una vera e propria dote scrittoria componendo un piccolo compendio di poesie, corredate da disegni, perdute durante il periodo bellico. Presto seguirà la sua prima raccolta di poesie dal titolo Poesia a Casarsa (1942): un’opera, questa, seppur ancora giovanile, di grande impatto letterario e sociale. Per la prima volta una lingua come il friulano - fino ad allora esclusivamente verbale - risuonerà nei versi dei suoi componimenti segnando oltretutto una dichiarata e dirompente opposizione al regime fascista che - come lo stesso Pasolini dichiarerà più avanti - non tollerava i dialetti, segni dell’irrazionale unità di questo paese dove sono nato, inammissibili e spudorate realtà nel cuore dei nazionalisti . In un attento osservatore come lui, non poteva che essere il contrario: il dialetto - il friulano, prima e il romano, poi - si identifica quale distintiva traccia linguistica all’interno di una poetica ricognitiva di tutta una storia; nonché segno di un’analisi socio-antropologica.

Una personalità controversa, quella di Pasolini, che tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60 acquisisce un ruolo centrale nel panorama della cultura italiana, nonostante fosse oggetto di numerose polemiche: un approccio intellettuale e letterario, il suo, che sembra porre le fondamenta di una vera e propria analisi etnografica dove le parole sembrano farsi corpo vitale. Fil rouge, la vitalità, che già nel suo primo romanzo, Ragazzi di vita (1955), emerge chiaramente: visitando le borgate; frequentando i ragazzi che vi abitavano; studiandone i comportamenti sociali; Pasolini individua proprio in quello strato infimo della società; nella realtà degradata, una traccia di autenticità rievocativa della vita rurale a lui familiare: attratto da una vita proletaria... è per me religione la sua allegria, non la millenaria sua lotta: la sua natura, non la sua coscienza - dichiara infatti a posteriori l’autore nella raccolta poetica, Le ceneri di Gramsci. La sua analisi va ben oltre l’interesse ideologico-politico: descrivere lo stato delle cose; portare alla luce il degrado morale e sociale che colpisce il Paese nel dopoguerra, è il suo intento. Non vi sono tentativi edulcoranti; la sua è una poetica interamente neorealista dove il vero è il più grande atto rivoluzionario.

Egli, paesaggista neorealista (sì, perchè le sue opere sono dei veri e propri ritratti di vita quotidiana) esordirà in poco tempo anche sul grande schermo laddove tutta una poetica prenderà vita: 1961, questo l’anno d’esordio alla regia con Accattone. Liberamente ispirato al primo romanzo e presentato fuori concorso al 22° Festival del Cinema di Venezia, il film parla di Vittorio Cataldi (Franco Citti), sottoproletario romano il cui unico scopo di vita è quello di sopravvivere; o meglio di vivere la vita per quella che è. Vano, infatti, il tentativo di quei ragazzi di strada di riscattarsi da una vita priva di possibilità.
Guardare un suo film è come trovarsi di fronte una fotografia; hai sempre il dubbio di dove finisca la finzione ed inizi la realtà. Ma non vi sono dubbi, nulla è più reale e concreto delle scelte registiche di Pasolini: chi meglio di attori non professionisti avrebbe potuto interpretare il ruolo che già quotidianamente interpreta? Non vi è interprete migliore di chi, infatti, vive quella realtà; una vita di degradazione, di solitudine, priva di moralità e valori: la vita di periferia; la vita degli ultimi. Una “sgrammaticata” autorialità - come autodenuncia lo stesso Pasolini - che iscriverà l’intera produzione Pasoliniana (letteraria e saggista; quanto cinematografica) tra le più significative nel panorama italiano. Un realismo tout court, il suo, che denuncia la naturalità e la realtà dello stato delle cose in tutta la sua credibilità e sincerità: non sarà nemmeno un film bello, non lo so; l’ho immaginato come un film angoloso, fuori delle regole, con la macchina da presa costantemente puntata sulle facce dei protagonisti. Sarà comunque un film sincero. - dichiara l’autore. Una personalità così scomoda, quella di Pasolini (d’altronde non era suo obiettivo quello di compiacere qualcuno) il cui tentativo fosse quello di sradicare i più da una vera e propria confort zone e far sentire la sua voce: voce interrotta tragicamente la notte del 2 novembre 1975, ma che continua a risuonare tra le mura di un idolatrato “museo Pasolini”.

Annagrazia Marchioni, Carola Mazzia Piciot 17/03/2022

Leggi qui la recensione dello spettacolo"Museo Pasolini" di Ascanio Celestini.

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