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“La Pace al Tramonto”: la guerra, il Mito, un talk teatrale omaggio ad Aldo Capitini

PERUGIA – “Occhio per occhio e il mondo diventa cieco” (Gandhi). Quello che differenzia l'animale dall'uomo è la parola, l'argomentazione, la retorica, il saper ragionare attorno ai temi sviscerandone i vari aspetti, prendendo il focus da molti punti di vista. Tutti gli uomini parlano, o hanno facoltà di farlo, ma pochi illuminati escono dal binario dicotomiale di vero o falso, buono o cattivo, brutto o bello. E' la guerra infinita tra la semplificazione, che va dritto per dritto, e la complessità che comprende in sé la multisfaccettata realtà che si dipana nel nostro contemporaneo. Di questo secondo paniere certamente uno dei capostipiti di questo tipo di pensiero aperto di vedute e pronto al rilancio intellettivo e discorsivo era senza ombra di dubbio Aldo Capitini, umbro, autodidatta, fautore della non violenza, pacifista, gandhiano, vegano, ideatore della Marcia della Pace Perugia – Assisi. Un uomo venuto dal basso ma divenuto, per sete di conoscenza filosofo e insegnante, punto di riferimento di una cultura che voleva fronteggiare l'odio con la parola, l'aggressività con la ragione, la brutalità delle armi con l'arma della logica, la crudeltà e la ferocia delle bombe con l'ascolto. Il periodo storico, con l'aggressione vigliacca della Russia nei confronti dell'Ucraina, rende il pensiero capitiniano ancora più attuale. “L'uomo è l'unico capace di uccidere un suo simile non per fame ma per rabbia o avidità” (Erasmo da Rotterdam).

 

In questo clima l'autore Nicola Mariuccini ha omaggiato il suo Maestro con la pièce “La Pace al Tramonto” (prod. La MaMa di Spoleto; titolo pessimista) all'interno della Galleria Nazionale perugina proprio nella sala dedicata a Capitini, la stanza dove studiava e dove campeggia il grande orologio della torre. La messinscena strizza l'occhio ai tanto in voga format televisivi, parodiandoli, i talk show dove più si urla e si interrompe l'avversario e più si è ascoltati da casa, dove l'arroganza è la miglior arma per essere richiamati davanti alla telecamera per confutare con il caos e il fango le opposte fazioni di opinioni. Siamo dentro la Sala dell'Orologio e la platea dello spettacolo diventa quella di uno studio televisivo pronto a godersi lo scannarsi urlante di voci bercianti e isteriche; davanti a noi il rosone del gigantesco quadrante e sembra immediatamente e magicamente di stare dentro la pellicola “Hugo Cabret” con le lancette e gli ingranaggi che si muovono in questo Sol dell'Avvenire meccanico. “In pace i figli seppelliscono i padri, mentre in guerra sono i padri a seppellire i figli” (Erodoto).

mariuccinin_DSC_58891674076861465.jpgCome ogni talk (questo si chiama “Time Insider”; sono spassosi e profondi anche gli spot) che si rispetti ci sono gli ospiti in studio che abbracciano potenzialmente le posizioni disparate di più pubblico da casa possibile, un prete (Maurizio Modesti dona sostanza), un'esperta destrorsa di studi militari (Caterina Fiocchetti puntuale e tagliente), la conduttrice granitica dal nome Italia (Olga Rossi si muove tra i diversi registri), gli interventi in video di altre figure che entrano in gioco, dicono la loro, lanciano nell'agorà altra carne da mettere al fuoco, escono dal collegamento in una giostra che non concede pause. Perché anche i più piccoli momenti di stasi o riflessione vengono soppesati e bollati da chi fa tv e da chi sta sul proprio divano casalingo come noia, tedio e voglia di fare zapping ossessivo-compulsivo-patologico. Quello che però scatena questa frizione spazio-temporale e che fa aprire una porta, una crepa d'immaginazione è il custode del museo (Francesco Bolo Rossini, qui anche regista, attore solido e di esperienza) che trova a terra gli occhiali simbolo di Capitini (oggetto-feticcio caduto nella polvere e nel dimenticatoio e nell'oblio): il guardiano mettendoseli sente un'improvvisa forza che lo governa, che lo abita, che lo possiede (come in “The Mask” con Jim Carrey), facendolo pensare, parlare ed esporre come il filosofo umbro che, come in un sogno, s'apre al miraggio facendo nascere quest'oasi argomentativa in un tutti contro tutti frizzante, elettrico d'argento vivo. “Combattere per la pace è come fare l'amore per la verginità” (John Lennon).

Gli stereotipi IMG-20230118-WA0011.jpgmessi in campo fanno parte del gioco teatrale ed esaltano i contraddittori che qualcuno accetta ribattendo e qualcun altro (fino alla chiusa finale inaspettata e sorprendente che non spoileriamo) invece subisce come attacchi alzando i toni e perdendo la dovuta e necessaria calma. Altro interessante snodo drammaturgico da parte di Mariuccini (una scrittura alta e comprensibile insieme, affatto letteraria e al tempo stesso scorrevole, lucida a tratti anche di leggera e divertente parodia) è stato quello di riuscire a trasporre la guerra di Troia ai nostri tempi moderni, ad incastrare le vicende di Elena, Agamennone, Achille, Ulisse con i nostri giorni di missili e droni, di trincee e mig, in un mix intelligente e carico di suggestioni, come a dire che la guerra è sempre la stessa, da millenni e forse sarà sempre così perché l'aggressività testosteronica è uno dei tratti distintivi dell'Essere Umano. “La Pace al Tramonto” dona molti spunti interessanti e mai banali, tanti rimbalzi, un ping pong svelto e felice tra le diverse voci in studio ai quali si aggiungono due perle, due chicche, due cammeo che danno nuovo e genuino lustro all'intera operazione: si collegano infatti un generale crudo e spietato direttamente dal campo di battaglia (la voce e lo sguardo inconfondibile di Paolo Pierobon) e un filosofo, vagamente cacciariano (il regista Nanni Moretti), che sono veramente due sorprese, di senso ed estetico e che danno brio e sono molla. Non si può essere d'accordo con uno o con un altro degli esponenti che starnazzano azzannandosi nei microfoni tentando di spiegare le loro ragioni e visioni del mondo: tutto diventa una pappa indistinta di pancia e testa che confliggono e non collimano. La Pace non è al Tramonto, si sta solo riposando in sosta aspettando attimi più fecondi e generosi per poter nuovamente uscire allo scoperto, senza cecchini pronti a spararle, senza bombe a grappolo, senza mine antiuomo lasciate a terra per confonderle con giocattoli. “La pace è un sogno ma può divenire realtà. Ma per costruirla bisogna essere capaci di sognare” (Nelson Mandela).

Tommaso Chimenti 20/01/2023

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