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“Dopo la pioggia”: due sorelle infelicemente indivisibili

ROMA – “C’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo” (Fabrizio De André).

Dopo la pioggia si dice che torni sempre il sereno. E ancora: “non può piovere per sempre”, corvescamente parlando. L'acqua lacrimevole che scende dal cielo (torna in mente anche “X agosto” di Pascoli) in questo “Dopo la pioggia” (prod. Aria Teatro, Fattore K; visto all'interno della bella stagione del Teatro Basilica) porta in sé una cappa lugubre, di stallo, un affossamento che attanaglia, stringe come cappio, teatro-262.jpgnon permette slanci o voli, blocca a terra, tarpa le ali, una campana di vetro che da un lato protegge dall'altro incatena. In una situazione claustrofobica, con una finta allegria che aleggia e si spande e si disperde ammantando le quattro pareti domestiche dove tutto pare ammuffire e stagnare senza respiro in apnea, due sorelle (Chiara Benedetti e Aida Talliente), problematiche, patologicamente inseparabili e indivisibili, irrisolte, forse incestuose, vivono in simbiosi immerse in un amore formale e tedioso tra vecchie canzoni nostalgiche, gesti sempre uguali e tanta retorica sparsa sui buoni sentimenti. Lucio Dalla avrebbe affrescato così il momento: “Quale allegria se ti ho cercato per una vita senza trovarti senza nemmeno avere la soddisfazione di averti per vederti andare via”. Interessante il fondale che presenta un bianco sporco come mani e passi infangati sopra una fresca nevicata. Il senso d'abbandono e di perdita è il contraltare, e il contrappasso, di stucchevoli canzoncine di inizio Novecento che effettivamente si sostituiscono alla drammaturgia senza parole.

Le due sorelle silenti, in un play muto, si parlano attraverso lettere (che ascoltiamo in audio), forse mai spedite, pensieri carichi di enfasi, pesanti, arcaici senza però raggiungere mai la cifra poetica. L'acqua, che qui non pulisce ma acceca e insozza, contamina e imbratta, una pioggia che pare dopo la pioggia.jpgnon permetta alle due consanguinee neanche di uscire di casa e quindi le costringe come cani alla catena e impedisce loro di vedere il mondo là fuori, è una muraglia impenetrabile, frontiera e cascata che non lascia spiragli di visione, stralci, spazi di manovra, crepe dove ammirare quel che si muove al di là della barriera. Una pioggia punitiva come filo spinato che incarcera creando un perimetro asfittico sempre uguale a se stesso dentro queste mura che le soffoca in una tranquillità finta di movimenti sincopati identici ai giorni precedenti. I due personaggi alternano la loro anzianità (troppo forzati, irreali, non credibili e accentuati i movimenti delle anche dondolando vistosamente) con ricordi della loro gioventù tra capitoli che scandagliano e scansionano e frammentano la narrazione, quadri. C'è una frase: “Volete stare nel passato per proteggervi”; ma questo passato non fa altro che acuire, accentuare, pungere maggiormente calli e zoppie monocorde, senza cambi di marcia. “Alcuni dicono che la pioggia è brutta, ma non sanno che permette di girare a testa alta con il viso coperto dalle lacrime” (Charlie Chaplin).

Troppa, davvero troppa, musica, dischi ascoltati fino all'ultima nota e diapositive a incastonare un lavoro fragile, a tratti sopra le righe, altre pioggia_imagefullwide.jpgsommesso, timido, stanco. Una serie di movimenti e situazioni, scene, che non riescono ad andare in profondità e a raccontarci l'amore, la morte, il passaggio del tempo, il rimpianto, la malinconia. Rimaniamo invece sempre un po' in superficie con la musica, leggera e trasognante a puntellare di illusioni questo universo che le due si sono create, non vivendo la vita vera, rimanendo ancorate ad una infelicità solida e tangibile. Anzi, sono l'una l'infelicità dell'altra, l'una la salvezza dell'altra. Come se, in maniera depressa e sottomessa, avessero aspettato fin dall'inizio la loro fine per sentirsi libere e liberate l'una dall'altra. Infatti, appena una delle due lascia questo mondo terreno sembra che si spezzi la catena, l'incantesimo che le teneva in simbiosi (forse contro la loro volontà e non per amore ma per p(a)ura dipendenza); la pioggia smette di cadere, il sole torna a splendere ma ormai la vita è perduta, sciupata, buttata. Una pièce che si articola e dimena tra la parodia e il dramma, delicata ma che non riesce a proporre spunti e riflessioni, rimanendo sulla crosta del magma, senza sporcarsi le mani, senza andare a fondo, immergendosi in questa impossibilità, in questo “vorrei ma non posso” accennato e lasciato in mano alle canzoni più che alla scena. “Amo la pioggia, lava via le memorie dai marciapiedi della vita” (Woody Allen).

Tommaso Chimenti 21/01/2023

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