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Robbins, Preljocaj, Ekman: la danza del futuro in scena al Teatro dell’Opera di Roma

Dopo un inizio di stagione segnato dalla ripresa dei classici, dallo “Schiaccianoci” di Giuliano Peparini, alla “Bella Addormentata” per la nuova coreografia di Jean-Guillaume Bart, la stagione di balletto 2016/2017 del Teatro Costanzi prosegue il suo viaggio con un’incursione nella danza del secondo Novecento. Dal 31 marzo all’8 aprile, infatti, il palco dell’Opera di Roma ospiterà per la prima volta un trittico all’insegna della contemporaneità: “The Concert” del coreografo americano Jerome Robbins, “Annonciation” del francese di origine albanese Angelin Preljocaj, nella doppia veste di autore e supervisore di questo balletto e, infine, “Cacti”, coreografia dal successo mondiale dello svedese Alexander Ekman.
Tre lavori talmente eterogenei tra loro da costituire, nelle parole di Carlo Fuortes, «una vera e propria scommessa del teatro sulla danza contemporanea, oltre che un percorso molto importante non solo per il corpo di ballo, ma per il pubblico stesso». A presentare questa nuova tappa della stagione operistica romana, durante la conferenza stampa che si è tenuta il 29 marzo presso il Teatro Costanzi, oltre al già citato sovrintendente dell’Opera di Roma, anche il direttore d’orchestra David Garforth, lo stesso Angelin Preljocaj e la direttrice del Corpo di Ballo Eleonora Abbagnato, accompagnata da alcuni membri del cast.Teatro dellOpera di Roma1
È quest’ultima in particolare, a porre l’accento sull’intento “formativo” nascosto dietro a questo tipo di approccio alla danza contemporanea, un programma pensato in vista di una crescita del pubblico oltre che dei danzatori, nel tentativo di avvicinare lo spettatore a quella che la stessa Abbagnato definisce “la danza del futuro”. «Non dobbiamo fermarci alla danza classica, soltanto perché è la strada più facile», dichiara l’etoile che dal 31 marzo vestirà anche i panni di interprete, insieme alla prima ballerina Rebecca Bianchi, nell’ ”Annonciation” di Preljocaj. «Questa serata dovrà essere il futuro del nostro teatro».
Genio riconosciuto di questa danza con i piedi saldamente piantati nella nostra contemporaneità, ma con un occhio che guarda in avanti, è sicuramente Alexander Ekman. Con la sua “Cacti”, del 2010, il coreografo svedese realizza una piece per sedici ballerini, accompagnata da un quartetto d’archi, rappresentato per il debutto all’Opera di Roma dal Quartetto Sincronie, fisicamente presente sulla scena e in costate dialogo con il corpo degli interpreti. Un lavoro in cui i danzatori corrono, cadono, cercano di scappare dalle loro costrizioni, danzano tenendo tra le mani dei cactus, a loro volta simboli della vulnerabilità degli artisti sul palcoscenico. «La difficoltà sta proprio nel mischiare tutte le diverse componenti, il ballo, la musica e la recitazione», precisa Claudio Cocino, primo ballerino e protagonista, insieme a Annalisa Cianci, di questa coreografia. «Sulla scena si muoveranno forme androgine, vestite tutte allo stesso modo. È, secondo me, un tentativo di avvicinamento ad un linguaggio altro, molto lontano da quello del balletto classico».
Teatro dellOpera di Roma2Ne emerge un'immagine della danza contemporanea come lavoro che i ballerini compiono in primis su se stessi. Uno sforzo testimoniato in questo caso dallo stesso Preljocaj, che si è detto colpito dall’evoluzione dei danzatori durante le prove, dalla loro capacità di trasformarsi, passando da un’impostazione fondamentalmente classica ad un’altra che si situa esattamente agli antipodi. La sua “Annonciation”, del resto, è una piece del 1995 che prende le mosse da un momento chiave della nostra religione per tornare proprio sull’idea del corpo in trasformazione. «Il progetto è nato mentre mi interrogavo sull’iconografia legata a questo tipo di soggetto. In particolare mi chiedevo come mai in venti secoli di storia dell’arte, nessun coreografo si sia mai soffermato su questo tema: la questione cioè del corpo in mutazione, così come della dicotomia tra corpo materiale e immateriale». Un dualismo sottolineato anche dalle musiche, in particolare dall’incontro tra il compositore canadese Stephane Roy e il “Magnificat” di Antonio Vivaldi.
Allo stesso modo, in “The Concert”, il lavoro che Jerome Robbins crea nel 1956 per il New York City Ballet, la pianista Enrica Ruggiero incontra e dialoga con l’orchestra del teatro e, ovviamente, con i danzatori stessi. Il piano, portato direttamente in scena, suona Frederic Chopin, mentre i ballerini interpretano altrettanti spettatori, giocano e scherzano sul palco, instaurando un approccio del tutto originale una musica pensata originariamente per il balletto classico.
Le tre coreografie si presentano quindi come altrettanti momenti di un percorso che ha il merito di voler focalizzare lo sguardo dello spettatore sui recenti esiti nell’universo della danza, intesa, per riprendere ancora una volta le parole di Eleonora Abbagnato, in termini di “poesia”, quel linguaggio altro che non cessa di esercitare il suo fascino sul pubblico contemporaneo.

Desirée Corradetti 29/03/2017

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