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Al Romaeuropa Festival, Les 7 Doigts con “Traces”: non chiamatelo semplice circo

Adorna il palcoscenico dell'Auditorium Conciliazione una scenografia fatta di stracci, stoffe lise che pendolano dal soffitto, una vecchia poltrona, alcune sedie e un pianoforte che, a stento, si regge su tavole di legno assemblate alla meglio. Forse un rifugio realizzato in fretta per ripararsi dalle brutture del mondo, da un’imminente calamità o dal prossimo disastro politico. Grazie a un microfono che cala dall’alto, stile vecchio varietà, a turno sei giovani ragazzi, cinque uomini e una donna , in semplici pantaloni scuri e t-shirt chiara, fanno una breve e ironica presentazione.
La drammaturgia che segna la scena è costruita da diverse narrazioni di un’unica grande avventura fatta di danza, musica, acrobazia, street art e linguaggi urbani: un breve e romantico passo a due, un simpatico trick fatto col diablo e presentato con l’ironia tipica dei bravi giocolieri, un numero ai pali paralleli che lascia il pubblico col fiato sospeso perché sospeso resta letteralmente nell’aria ogni performer. O ancora, una bizzarra esibizione canora in lingua mandarino, una 7tracesdanza che prende forma dalla scena del crimine; un redivivo uomo vitruviano che caparbiamente mostra le capacità del corpo inscritto in un cerchio in movimento, un combattimento sportivo tra skateboard e palloni da basket o una poetica performance di aerial silk.
Ogni numero colpisce per la rigorosa tecnica adoperata ma, ancor di più, per la capacità di ascolto che evidente circola tra i protagonisti i quali sembrano far parte di un unico corpo come fossero piccoli ingranaggi della stessa macchina. Non a caso, in Francia, esiste un’espressione che definisce l’agire di un gruppo di individui che insieme formano un’unica entità, come le cinque dita di una stessa mano (il numero sette si spiega poiché il collettivo nacque nel 2002 a Montreal sotto la guida di sette artisti circensi).
Le tracce sparse durante lo spettacolo, sottolineate spesso da luci psichedeliche e proiezioni sullo schermo di fondo, aiutano lo spettatore a conoscere Mick, Isis, Song, Yann, Lucas, Nathan e forse, anche un po' ad affezionarsi a loro. Li vediamo persino bambini in uno scorrere di vecchie fotografie.
Qui non ci sono clown, tendoni o elefanti a reggersi su di un’unica zampa, qui, c’è un forte tentativo di umanizzare ciò che di solito nel circo viene celato: la storia del “personaggio” con una precisa identità che mostra tutta la fatica e il rischio insiti in ogni sua singola azione. Per questo motivo il fallimento non è nascosto ma, laddove accade (ad esempio, durante il numero finale dei sei cerchi impilati l’uno sull’altro) viene mostrato, spiegato e, se possibile, superato.
Probabilmente la forza di questo gruppo risiede nella volontà di fare della creazione l’unico antidoto alla distruzione e alla rinuncia.

Miriam Larocca 31/10/2016

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