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L’espressionista tragico: Antonio Ligabue in mostra al Vittoriano

Ci sono artisti che nascono e si plasmano di disagio, dei quali ci si chiede se abbiano mai provato la dolcezza di un bacio, che raccolgono tra le dita un’arte fatta di sfumature dolorose, di crepe da cui far filtrare la luce. Questo è ciò che trasmette Antonio Ligabue, il pittore svizzero che visse lungo le rive del Po, protagonista dell’omonima mostra presso le sale dell’Ala Brasini del Complesso del Vittoriano, dall’11 novembre 2016 all’8 gennaio 2017.
Sono circa 100 le opere esposte: un excursus storico, artistico e critico sul lavoro di un genio che rappresenta ancora oggi una delle figure più interessanti e al contempo meno comprese della scena artistica novecentesca. “Non chiamatelo naïf”, ha precisato Sandro Parmiggiani, direttore della Fondazione Museo Antonio Ligabue di Gualtieri e curatore della mostra con Sergio Negri, presidente del comitato scientifico che ha anche avuto la possibilità, durante la sua vita, di conoscere personalmente l’artista.000ligabue
Antonio Ligabue, nato a Zurigo, nella Svizzera tedesca, nel 1889, dopo anni di vagabondaggio, spesso soggetto a violente crisi nervose, viene espulso dal paese nel 1919, su richiesta della sua stessa famiglia adottiva. Tenta varie volte di tornare in Svizzera ma sarà Gualtieri, sulle rive del Po, ad accoglierlo e ritrovarlo (nonostante i numerosi ricoveri in ospedale psichiatrico) fino alla sua morte. È qui che incontra Renato Marino Mazzacurati – artista della Scuola Romana ed esponente di correnti artistiche quali il cubismo, l’espressionismo e il realismo – che, nel tentativo di valorizzarne il talento, gli insegna l’uso dei colori a olio. E scopre un espressionista puro, dallo slancio tragico, capace nelle sue tele di riprodurre la lotta senza fine per la sopravvivenza non solo attraverso l’allegoria – la fiera tra le spire del serpente – ma anche attraverso la pennellata netta ma nervosa, l’attenzione al dettaglio sullo sfondo, alla decorazione. Sintomo di una ricerca d’ordine, forse, in una vita segnata dall’amarezza per l’abbandono, l’incomprensione, l’assenza di affetti veri e di una casa. Solo nella realizzazione di alcune opere pare trovare un po’ di serenità, come quando rappresenta il lavoro dei campi e gli animali che tanto amava, in particolare i cani che sentiva come fratelli.
Un percorso, quello di Ligabue, segnato dalla continua ricerca di “qualcosa d’assente”, di un riconoscimento, di una pagina da voltare di un diario esistenziale che lo volle per tutta la sua – troppo breve – vita lontano dal riconoscimento della sua dignità d’artista e di uomo. Un’approvazione che Ligabue sembra voler urlare con il gran numero di autoritratti che realizzerà nel corso degli anni, dipinti in cui non edulcora mai la propria figura, riproducendo la propria immagine senza filtri, dimesso e con la barba lunga, a voler dire “Io sono un’artista. Io sono una persona”.
La mostra si articola in tre sezioni cronologiche attraverso cui si colgono i diversi siti dell’opera artistica di Ligabue, dagli anni Venti fino al 1962. Tra i quadri esposti, “Carrozza con cavalli e paesaggio svizzero” (1956-1957), “Tavolo con vaso di fiori” (1956) e “Gorilla con donna” (1957-1958). Da segnalare anche le bellissime sculture in bronzo, come “Lupo siberiano” (1936) che provano, tra l’altro, come Ligabue non fosse solo artista ispirato e istintivo, ma che sempre si dedicò allo studio dell’anatomia, in particolare degli animali, che riproduce nelle sue opere con enorme accuratezza fisica.
A 55 anni dalla prima mostra di rilievo nazionale, allestita nella Galleria La Barcaccia di Roma nel 1961, Antonio Ligabue fa idealmente ritorno nella capitale: “un riconoscimento che certo non può riscattare le sofferenze e le umiliazioni, l’emarginazione e l’ostracismo, il diffuso disinteresse, nel corso di gran parte della sua vita, per un’opera che parve a molti indegna di considerazione” scrive ancora Parmiggiani.
La mostra, promossa dalla Fondazione Museo Antonio Ligabue di Gualtieri, nasce sotto l’egida dell’Istituto per la storia del Risorgimento Italiano e con il patrocinio della Regione Lazio, Roma Capitale e Fondazione Federico II Palermo, con l’organizzazione generale di Arthemisia Group e C.O.R. Creare-organizzare-realizzare.

Federica Nastasia 13/11/2016

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