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L''armonia degli arabeschi di Matisse alle Scuderie del Quirinale

Dopo la chiusura della mostra dedicata al pittore fiammingo Hans Memling, le Scuderie del Quirinale di Roma tornano a focalizzarsi sul '900 nella grande mostra "Matisse. Arabesque".

Curata da Ester Coen, l'esposizione presenta oltre 100 opere del maestro francese Henri Matisse (1869-1954) con un obiettivo specifico: ricostruire il rapporto profondo dell'artista con le culture visive extraeuropee.

Un rapporto, questo, nato nei primi anni del secolo in quel punto nodale della ricerca artistica del momento rappresentato dalla città Parigi. Qui Matisse, a stretto contatto e in continuità con artisti del calibro di Picasso, Braque, Derain e de Vlaminck, inizia a interessarsi innanzitutto alla "scultura negra", uno degli elementi determinanti per l'evoluzione del linguaggio d'avanguardia nel primo decennio del '900.

C'è l'Africa del nord – Algeria, Marocco, mete di importanti viaggi – e quella subsahariana, ma anche l'arte orientale – dalla Russia al Giappone – e quella islamica, osservata con attenzione da Matisse nel 1910 a Monaco di Baviera, in occasione della grande esposizione di arte maomettana. Un bacino assolutamente vario da cui Matisse trae importanti insegnamenti sull'evoluzione del segno grafico e l'utilizzo del colore, innestandoli sulla decisiva lezione appresa da Paul Cézanne, quella ricerca profonda sull'armonia del quadro come parallela e non mera derivazione di quella naturale.

Punto di forza della mostra romana è il tentativo esplicito di rievocare le fonti da cui attinge Matisse in quei decenni, mostrando diverse teche in cui sono esposti manufatti, sculture, ceramiche, stampe, tessuti suddivisi per macroaree di provenienza, oggetti che più che instaurare un rapporto filologico con le singole opere di Matisse, vogliono far luce sulla sua intera produzione attraverso l'evocazione di queste molteplici e disparate esperienze.

"Ridurre gli elementi visivi, giocare con la linea forzando la potenza del colore alla massima saturazione timbrica, esaltare la natura piana della tela e dell'area da dipingere […]", così sintetizza i punti cardine della ricerca di Matisse la curatrice Ester Coen nel testo in catalogo. Da questo punto di vista la selezione di opere in mostra può testimoniare il lungo percorso intrapreso dal pittore, nonostante manchino esempi di un altro linguaggio adoperato da Matisse e altrettanto rivelatore degli indirizzi perseguiti, la scultura.

Pur con questa importante carenza, le opere esposte riescono comunque a sottolineare alcuni punti di svolta in questa lunga ricerca, dal cézanniano "Angolo di tavola (violette)" del 1903 ca. – con cui si apre la mostra – allo straordinario "Ritratto di Yvonne Landsberg" del 1914, un grande olio su tela in cui Matisse mostra di riflettere sia sulle parallele ricerche cubiste che sulle possibilità grafiche del gesto pittorico, testimoniate dall'utilizzo di ampi e calibrati "sgraffi" che incidono le forme facendole emergere dal fondo scuro.

Compenetrazione di figura e sfondo, quasi sottomessi alla più pressante ricerca di un'armonia d'insieme, rappresentano un'altra delle conquiste del linguaggio matissiano. Manca ovviamente un capolavoro come "La stanza rossa" dell'Ermitage, ma questo elemento si può evincere da opere minori ma comunque significative come la tarda "Ramo di Pruno, fondo verde" (1948) o "Il paravento moresco" (1921).

Altro elemento importante presente in mostra sono i costumi e gli studi per le scene del "Chant di Rossignol" del 1920, balletto prodotto dalla celebre compagnia di Balletti russi di Diaghilev sulle musiche di Igor Stravinskij.

Da segnalare infine i diversi incontri in cui, come da tradizione per le mostre alle Scuderie del Quirinale, studiosi e docenti approfondiranno i molti aspetti della lunga e affascinante ricerca di Matisse lungo tutta la durata della mostra.

 

(Marco Pacella)  

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