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Kobane Calling: il cuore di un popolo nella penna di Zerocalcare

La fila contava più di 700 persone, davanti alla Feltrinelli di via Appia, lunedì 11 aprile, tutte accumunate dallo stesso desiderio: stringere tra le mani “Kobane Calling”, l’ultima fatica di Zerocalcare.
Alcuni curiosi si sono fermati a osservare quello sciame così variegato, composto soprattutto da giovani, ma che al suo interno custodiva anche mamme con i loro figli adolescenti e adulti ben vestiti, insospettabili lettori di fumetti.
Perché “Kobane Calling” non è un semplice fumetto, considerato da molti come lettura disimpegnata e di svago o, peggio, come collazione di disegni senza utilità alcuna, ma è il racconto di un'esperienza. È la testimonianza dei viaggi, intrapresi tra Siria, Turchia e Iraq, tra il novembre 2014 e il luglio del 2015, dallo stesso Michele Rech.
Tutto inizia a Rebibbia, ma presto la volontà di aiutare e di conoscere il popolo curdo costringe a mettersi in cammino. Destinazione Rojava, una regione del Kurdistan siriano dove si combatte la guerra contro lo Stato islamico. In 272 pagine (versione ampliata e di maggior respiro rispetto ai 2 reportage per “Internazionale”) Zerocalcare esplora un luogo conosciuto solo tramite giornali e testimonianze di militanti curdi.
Lungi dal voler insegnare la storia di un popolo o da ergersi a geopolitico, Rech traccia il suo viaggio senza la pretesa di fornire uno schema chiaro e preciso. Eppure, nei suoi brevi accenni storici e nelle sue spiegazioni, che lui stesso definisce “pipponi”, scusandosi con il lettore per il suo pressapochismo, delinea un quadro esaustivo e chiaro sulla realtà che si dipana davanti ai suoi occhi. Non abbandonando il suo stile, capace di divertire e commuovere nella stessa pagina, Zerocalcare analizza la realtà di Rojava, al cui centro trionfa Kobane (“La città che ha cacciato l'Isis a calci in culo”), non riconosciuta dalla comunità internazionale e retta da un confederalismo democratico. A stupire è il racconto di una dimensione diversa da come siamo soliti immaginare, dove convivenza etnica e religiosa, emancipazione femminile e spirito di uguaglianza si intrecciano fino a definire una città che i nostri giornali non riportano o, peggio, tacciono.
“Kobane Calling” si legge d’un fiato, con passione e trasporto. Le pagine si caricano di emozioni che il lettore assorbe dagli occhi di un ragazzo di Rebibbia in un luogo che lo affascina, ma che allo stesso tempo lo fa tremare di spavento quando nella notte il suono delle bombe si percepisce acuto e vicino. Accanto a lui il fidato armadillo, che, per la prima volta, gli è consigliere in un paese lontano, in una dimensione che non è solo interiore, ma si intreccia con la Storia.
Sicuramente questo racconto fatto di “facce, parole e scarabocchi da Rebibbia al confine Turco Siriano” attirerà l’attenzione di nuovi curiosi lettori, che magari, non avevano mai sentito nominare il nome dell’artista prima di allora. Ma quello che è importante è che “Kobane Calling” difficilmente deluderà i lettori affezionati. Perché dentro a quei disegni non si riconosce solo lo stile di Zerocalcare, ma anche la sua particolare firma: raccontare senza la pretesa di voler insegnare o di ergersi a maestro, tracciando sul foglio linee e pensieri che vengono da un luogo intimo, personale, vero. Il cuore.

Ti sforzi tanto di capire perché sei qui. Per decifrare quell’ammasso di pixel. E invece è una cosa che conosci benissimo. Che ti porti sempre dietro, il cuore. Non uno qualsiasi. Il tuo. Con i suoi bozzi, le sue cicatrici, le sue toppe. I cuori non sono tutti uguali. Si modellano, si sagomano, sulle esperienze. E tutto quello che ha dato forma al tuo… gli insegnamenti, le cose trasmesse, quelle che ti hanno fatto piangere, quelle che ti hanno fatto ridere, il sangue che ti ribolliva dentro e quello che ti hanno fatto sputare fuori. Ogni cosa. Oggi sta a Kobane”.

Angela Ruzzoni 16/04/2016

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