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Bob Dylan Premio Nobel per la Letteratura: questione di suono

Probabilmente è necessario mettere subito in chiaro una cosa. Non si tratta di musica. Bob Dylan non ha vinto il Nobel per la Letteratura con la musica. Si tratta di canzone: Bob Dylan ha vinto il Nobel per la Letteratura “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”.
Non si tratta di musica, si tratta di canzone, è ben diverso. Canzone è fusione sì di musica, ma con le parole. E musica e parole non sono forse figlie della nostra voglia – e necessità – di esprimerci? Di capirci? Di progredire? Musica e parole, le stesse, nei casi come Bob Dylan, che utilizza la letteratura.
In secondo luogo, poi, è necessario precisare che non si tratta di poesia, ma di letteratura. Dylan non ha vinto il Nobel per la Poesia, ma per la Letteratura. Letteratura è, in origine, l’arte di leggere e scrivere. Letteràto è, etimologicamente, ciò che è versato in belle lettere. Nessuno ha parlato di poesia, bensì di poetica. La musica ha una poetica, la canzone ha una poetica, come ce l’ha la letteratura. Questa poetica si esprime in modi e tempi diversi, non totalmente dissimili, non totalmente lontani. Perché quanto è differente, quanto è lontano Dylan dai poeti beat, o dalla grande epopea americana? Il mondo non è una gigantesca scuola di musicologia, in cui ci si interessa forse solo ai rapporti tra le note e del testo “chi se ne frega” (e in qualche luogo nemmeno tanto sospetto accade, sappiatelo). Il mondo, d’altra parte, non è nemmeno una gigantesca biblioteca governata da puristi e celoduristi, per i quali è importante – o conta, o ha senso – solo quello che rimane su carta e che si può leggere. Ma la lettura non si articola forse nel suono? Le parole non suonano? Senza scomodare gli aèdi, Leopardi considerava la musica una scienza, non un semplice e leggero diletto per l’orecchio – per quanto in effetti sia anche così. I letterati romantici immaginavano il suono di carta e celebravano la parità estetica di musica e letteratura, entrambe dal potenziale emotivo e seduttivo smisurato. Montale diceva che la poesia non ha bisogno di essere musicata in quanto è già musica. Il teatro stesso è considerato letteratura, eppure non muore nella carta stampata, anzi da essa prende vita e va in scena. Tutta questa ibridazione trova la sua espressione massima nella canzone – perché, ribadiamo, si tratta di canzone, non di musica – specie in quelle di Dylan, maestro supremo di tutto ciò che è venuto dopo di lui per genere, profondità, testi, immaginario.


Non si tratta di essere pro o contro, si tratta di questioni linguistiche, o semiotiche, se si vuole. Oppure si tratta semplicemente di rappresentatività dei sentimenti collettivi: canzone e letteratura sono fatti sociali – e la prima, in questo senso, ha pagato a caro prezzo la commercializzazione estrema degli anni Ottanta – e sono modalità diverse – nessuno nega quest’assunto, sia chiaro – che confluiscono nella stessa volontà e urgenza estetica, nello stesso obiettivo: la narrazione.
“La mia operazione, proprio quella delle origini, è stata di trasportare nella canzone dei temi che erano bagaglio della letteratura. Ho cercato di trasferire [...] certi temi appartenenti esclusivamente alla letteratura, in quella ch’era considerata, in Italia almeno, e a torto, un’arte minore quale la canzone”. Per quanto tempo bisognare dare ancora ragione a De André? Trovandoci in Italia, dove già vent’anni fa cantautori vincevano premi letterari (nel 1991 Conte – uno che peraltro non ha mai accettato di considerare la parte testuale e letteraria come predominante nella canzone – e nel 1992 Guccini vincevano il premio Montale “poesia per musica”), a un certo punto diventa una questione di elasticità e attenzione. Attenzione non alla teoria, ma semplicemente alla nostra tradizione. La canzone è probabilmente sintesi, innegabilmente ibridazione di generi letterari diversi. Quando si capirà questo, come diceva un vecchio professore di liceo, sarà sempre troppo presto.

Daniele Sidonio 14/10/2016

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