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“Una vita al top” di Giancane: l’ironia del saper vivere

Mar 20

Il cantautorato italiano, per amata e reiterata tradizione, ha due grandi tematiche da affrontare, narrare, sviscerare, analizzare e giudicare dall’alto del suo sguardo artistico: amore e malessere sociale. In entrambi i casi, ogni cantante si sente giustamente ricco di cose da dire e messaggi da lanciare al proprio pubblico; ognuno si sente rappresentante della sua gente, bardo di un sentimento condiviso, voce di uno che grida nel deserto.
Giancane si colloca esattamente sul fronte opposto.
Ciao sono Giancane, e non sono un cantautore di merda, esordisce in “Ciao sono Giancane”, uno degli 11 brani di “Una vita al top”, il suo primo disco da solista dopo l’avventura come chitarrista de “il muro del canto”.
Giancane sa chi è: sa di essere qualcuno, non un Signor Qualcuno. Giancane sa cosa vuole, sa cosa pensa, e lo canta. In quanti hanno la semplicità, l’umorismo, il coraggio di fare lo stesso?
Già dal titolo dell’album, è evidente il tono dell’intero CD e la volontà del cantautore. La sua ironia divertente e dissacrante colpisce in primis se stesso, e poi tutti gli altri. Accompagnati da semplici melodie dai richiami country e folk, prevalentemente basate sulla sua chitarra acustica e arricchite da numerose collaborazioni, i testi riescono a dire cose socialmente inappropriate e dissacranti in modo leggero, lasciando percepire (a chi è in grado di percepirla) una vena ironica così radicalmente romana. Non frena pudicamente le parole, non si cura della ritmica e della rima: è parlato, è diretto, è vero.
L’insofferenza verso i vecchi in macchina o in fila al supermercato in “Vecchi di merda”, il disprezzo verso chi ostenta ricchezza pacchiana di “Ha le Hogan blu”, le riflessioni sulla morte di “Una vita al top” e le sarcastiche elucubrazioni di “Vorrei essere te”: tutto può essere musica, tutto diventa interessante se ne viene percepita la sincerità. Da “Come sei bella” a “Fai schifo” nel giro di una traccia, Giancane si mette continuamente in gioco e ci trascina a spasso in una quotidianità senza astrazione utopica, in una realtà non idealizzata o plagiata dalle convenzioni.
Testi genuini su accordi essenziali: quanti artisti sono in grado di farsi specchio della nostra comune realtà tragicomica al punto da farti mettere in loop un CD che dice Faccio una vita di merda ed è l’unica vita che ho?
Io credo pochi, e per questo vedo in questo album una rara perla ai porci. O meglio una stoccata dei porci alle perle. Perché le perle sono destinate a essere rinchiuse nel buio di un cassetto o incastonate nel collo di signore impellicciate: morte, statiche e anacronistiche. Mentre del maiale, invece, non si butta via niente.
Più salami, meno collier.

Giulia Zanichelli 20/03/2016

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