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Tra amore, furto e la Donna Cannone: De Gregori live all’Atlantico

Mar 08

Spegniamo subito le lamentele sulla scaletta: fatevene una ragione, Francesco De Gregori è uno di quelli che si può permettere di non cantare “Alice”, “La leva calcistica del ‘68” – peccato – “Niente da capire”, “Celestino” e “W l’Italia” e comunque regalare al pubblico oltre due ore di musica eccelsa. All’Atlantico di Roma va in scena l’apertura di sipario di “Amore e furto” tour, un percorso dolce e ritmato che parte da Bob Dylan, maestro tra i maestri della canzone d’autore.
L’ouverture con cui Il Principe – o Er, secondo declinazione più propriamente romanesca – apre il concerto è strabiliante. Siamo a cospetto di “Desolation Row”, “Via della povertà”, sperimentata già ai tempi del Folk Studio e incisa poi da De André. Undici minuti in cui il profumo di cantautorato doc arriva fino in fondo al parterre carico di fumo e luppolo. Sontuosa l’apertura, pulito il prosieguo. Il live ha una struttura precisa: un primo tempo dedicato ad “Amore e furto” e a Bob – De Gregori chiede scusa per l’appoggio visivo del leggio – e un secondo in cui si dispongono i brani da repertorio. In mezzo una pausa-birra di quindici minuti. È tutto orchestrato nei minimi dettagli, nessuna sbavatura, nessun movimento indiscreto. Dai grumi di “Acido seminterrato” e la rabbia dei pezzi politici di Dylan, “Servire qualcuno” e “Mondo politico”, il fluido musicale del Principe scorre verso brani più delicati, come “Non è buio ancora” e “Un angioletto come te”, corredato da un gioco di luci indaco e gialle che colora la scura atmosfera dell’Atlantico.
Il 5 marzo è il compleanno di Pier Paolo Pasolini e in scaletta non può mancare “A Pa”, a lui dedicata. A seguire “Adelante, adelante!”, che sconquassa il pubblico romano insieme a una versione stupenda dell’”Agnello di Dio”. Non ci si scompone fisicamente a sentire De Gregori, ma l’anima di chi ascolta si scompiglia e si aggrappa alla pulizia sonica e vocale di un artista che non sembra aver subito il logorio del tempo nello spirito, nell’energia, nell’ugola. C’è posto anche per “Titanic”, “I muscoli del capitano” e “L’abbigliamento di un fuochista”, magniloquente trilogia dell’album datato 1982. C’è chi, di quel disco, chiede a gran voce “Caterina”, ma sa già che non verrà accontentato. L’intro acustica di “Generale” è commovente, quella di “Rimmel” va oltre e alza il livello emotivo del pubblico pagante, che applaude al momento giusto, chiamato in causa dalla “Donna Cannone”, primo dei bis con cui il Principe saluta i suoi sudditi. Qui e in “Pablo” i cori dei fan dominano sul singer, che dà la buonanotte ancora con “Fiorellino”, trasformata in un pezzo da ranch da ballettare con le luci accese, con l’ultimo gorgoglio di birra sul palato, con la sigaretta già pronta tra indice e medio.
Riflessione a margine sulla location: se l’Atlantico è perfetto per la prima parte del concerto, in cui i suoni e il ritmo richiedono lo spazio aperto di un club di appassionati, forse è meno indicato per il repertorio degregoriano, che meriterebbe una fruizione più gentile e attenta alle sfumature di tastiere, mandolini luccicanti, archi, chitarre sapienti, alle sfumature di una band di gran classe guidata da un signore carismatico la cui siluette viene decorata da cappello e stivaletto bianco.

Daniele Sidonio 8/03/2016

Foto: Ansa

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