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Clementi e Nuccini tornano a raccontare la poesia con il progetto “Quattro Quartetti”

Mag 01

«I was in my room one night when I heard something in the corridor» - inizia così "Blackbird Pie" di Raymond Carver, un racconto che scava nei dolori interiori dei protagonisti, servendosi di immagini surreali, ossessive, allucinate. Un testo in cui il lettore si immerge in apnea e ne riemerge letteralmente avviluppato dalle parole. E un live intimo e raccolto come quello dello scorso 28 aprile al Monk ha lasciato addosso una sensazione analoga: tra l'atteggiamento furtivo di chi spia e quello del privilegiato che assiste a un evento straordinario, sembrava di essere al di qua di una porta socchiusa sulla musica italiana di nicchia, fatta di sonorità ricercate e testi di raffinatissima fattura. L'opening act è affidato a Pier Alberto Valli, ex leader dei Santo Barbaro, che porta live per la prima volta il suo progetto solista. Il suo album ha un titolo fortemente evocativo: “Atlas”, Pieralberto5con tracce come “Falso ricordo”, “Esodo” e “Atlantide”, è un lavoro che dal vivo si trasforma in un connubio tra un imponente muro di suoni sintetici e un cantato delicatissimo. È come se la voce di Valli ricamasse un arazzo su una lamiera di metallo, per produrre una cortina tintinnante, trapuntata con una voce poderosa e sovrastata da ipnotiche videoinstallazioni.
Dopo questa introduzione si entra nel vivo con l’esibizione di Emidio Clementi e Corrado Nuccini, che si ritrovano insieme sul palco a due anni da “Notturno Americano”, l'album (e il successivo tour) dedicato a Emanuel Carnevali, poeta di riferimento già per la produzione dei Massimo Volume. Si prosegue con la poesia, quindi, ed è la volta di T. S. Eliot dei "Quattro Quartetti", componimenti pubblicati tra il 1935 e il 1942. La setlist rispecchia il periodo di genesi delle poesie: si inizia con "Burnt Norton", che lo stesso Eliot considerava come una sorta di affluente secondario di “Assassinio nella cattedrale”, dai cui scarti germogliò la poesia. Si prosegue con "East Coker" e le sue parole intrise di umanità e disperazione. Quella stessa disperazione di chi, come un antenato di Eliot, è costretto a lasciare il proprio borgo di origine nel Somersetshire (che dà il nome al componimento) alla ricerca di condizioni di vita migliori. Questa poesia è una riflessione sullo stato dell’uomo, in balia di spazio e tempo che si intersecano in modo arbitrario e Quattro4angosciante, al punto da convincere che «nel mio principio è la mia fine», nel dono della nascita la condanna della morte. Si passa a "I Dry Salvages", dominato dal tema dell’acqua cupa e profonda, foriera di distruzione e dolore, per concludere con “Little Gidding” e il suo ammonimento «Voi non siete qui per verificare, per istruirvi o per soddisfare curiosità o stendere un rapporto. Voi siete qui per inginocchiarvi dove la preghiera è stata valida». Versi intensi, in cui le immagini si affollano, premono le une contro le altre.
Una scenografia scarna accompagna l’esibizione: sul lato sinistro del palco Emidio Clementi maneggia il libro di Eliot, sul lato destro Corrado Nuccini si destreggia con la sua chitarra tra elettronica e strascichi post-rock. Tra i due, delle lampade che si accendono e spengono, accompagnando la tensione del recitato, che insiste sul dramma dell’esistenza. Per il bis Clementi sceglie di recitare ancora i versi di “I Dry Salvages”, legati a un suo personale ricordo d’infanzia, all’elemento dominante dell’acqua e al buio. I quattro poemetti seguono un andamento molto musicale, che la parte suonata, composta ex novo, sa sottolineare perfettamente. Insiste sui climax, sull’astrazione verso una dimensione totalmente visionaria e, quasi contemporaneamente, sulla discesa agli inferi di una condizione tormentata. “Quattro Quartetti” non è solo reading, così come non lo era "Notturno Americano", ma è un modo molto personale di vivificare i versi di uno dei poeti di riferimento del Novecento. La musica sostiene, senza essere invadente, i versi di Eliot: rimuove quello strato di usura e di tempo che, inevitabilmente, vi si era posato rendendoli più opachi. Come una sapiente opera di restauro, la voce solenne e gli arrangiamenti eleganti sanno portare alla luce l’antica bellezza dei “Quattro Quartetti” che oggi, a poco meno di un secolo, riescono ancora a imprimersi nella memoria con immagini atroci e fulminanti.

Foto: Simone Peronaci

Letizia Dabramo 03/05/2017

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