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Céline delle periferie: ai TOdays16 “Viaggio al termine della notte” riletto da Elio Germano e Teho Teardo

Ago 31

La chiamano la “cattedrale”, ma sotto la capriata di ferro e cemento armato, fiancheggiata da una torre piezometrica che ricorda vagamente un campanile, non si celebrano riti, almeno non quelli religiosi. Sorveglia solitaria uno spazio verde di periferia, il parco Peccei, sorto sulle macerie di vecchie fabbriche dismesse, fra caseggiati freschi di intonaco e capannoni di mattoni dalle serrande arrugginite. Sono la memoria storica di un quartiere ai margini della città, ma sono anche un luogo mentale, una condizione, un pezzo di storia di Torino, Barriera di Milano. In quei relitti di archeologia industriale è inscritta l’identità dei suoi abitanti, l’anima operaia e manifatturiera degli anni della rapida industrializzazione, con le sue comunità di immigrati dal sud, l’edilizia popolare a poco prezzo, l’orizzonte affollato di palazzi e ciminiere. Un quartiere che ha recepito prima di altri le tensioni di una città in evoluzione, assorbito la nuova immigrazione e sofferto le piaghe della povertà diffusa, dell’illecito, della droga.todays2
Barriera di Milano rischiava di rimanere sospesa tra il rimpianto di un passato operaio perduto e l’incertezza di un futuro continuamente rimandato. Ma la recente riqualificazione urbana realizzata tra via Cigna, i Docks Dora e Corso Vigevano è riuscita a sottrarre al degrado alcune di quelle aree trasformandole in importanti bacini di aggregazione culturale: come il Museo Ettore Fico, spazio dedicato al design e all’arte contemporanea; o come l’ex Fabbrica Incet, laboratorio di innovazione sociale e palco underground per spettacoli e concerti, e lo sPAZIO 211, oasi della scena rock internazionale. Da due anni, nell’ultimo weekend di agosto, una kermesse musicale ambiziosa e non convenzionale, il TOdays Festival (26-28 agosto), ne occupa gli spazi per regalare alla città una tre giorni di concerti, incontri e videoarte, dal primo pomeriggio a notte inoltrata, in cui artisti di fama internazionale condividono il palco con le punte di diamante del panorama indipendente italiano del momento. Dopo un avvio fulminante che nel 2015 aveva gettato solidissime basi con Tv On The Radio, Verdena e Interpol, l’edizione 2016 ha mantenuto in pieno le promesse registrando ogni sera il tutto esaurito grazie a un mix esplosivo di artisti internazionali indie (The Jesus and Mary Chain), shoegaze (M83), elettro (Soulwax, Ivan Smagghe, The Hacker), acid (Goat) e folk (The Brian Jonestown Massacre, Crystal Fighters, Local Natives), abbinati alle ultime proposte della scena italiana (Iosonouncane, Calcutta, Niagara, Paolo Spaccamonti, I Cani). E, fra gli eventi più attesi, il maestro americano dell’horror anni ’80, John Carpenter, ha debuttato a quasi settant’anni da vero rocker suonando il «punk dei sintetizzatori» dei suoi due album (“Lost Themes I”, 2015; “Lost Themes II”, 2016), oltre a un’affilata selezione di colonne sonore, accompagnate da sequenze culto dei suoi film (“Halloween”, “La Cosa”, “1997: Fuga da New York”, “Grosso Guaio a Chinatown”).

todays3Eppure, il TOdays non è stato solo occasione di grande musica dal vivo in un contesto urbano orgogliosamente di periferia e post-industriale. Il festival torinese si è confermato anche innovativa cassa di risonanza con cui raccontare la valorizzazione e il rilancio di un intero quartiere e scambiarsi momenti di riflessione in continuità con le altre lingue dell’arte. In pieno pomeriggio, nell’aria calda domenicale, lo scheletro della “cattedrale” ha celebrato infatti il delirio lucido di un uomo dei nostri tempi, la via crucis laica di un eroe sull’orlo dell’abisso, che alzò lo sguardo sopra il fango che si deposita nelle periferie della Storia: Bardamu, ovvero l’alter-ego di Céline, il medico scrittore «creato da Dio per dare scandalo» (Bernanos). A dargli voce, un attore dalla straordinaria sensibilità interpretativa, Elio Germano, capace di trasformare in autentica esperienza collettiva e al di là del facile istrionismo la semplice lettura di alcuni passaggi del “Viaggio al termine della notte” (1932), col sostegno di una partitura inedita per archi (al violoncello Laura Bisceglia, al violino Elena De Stabile, alla viola Ambrachiara Michelangeli), chitarra, percussioni e live electronics, firmata ed eseguita dal vivo da Teho Teardo, compositore, musicista e sound designer fra i più stimati al mondo.
Un eterno partire «dalla vita alla morte», un viaggio simbolico attraverso la degradazione, in cui la meta è il nulla e dove la notte è una notte metaforica, di un buio morale che investe indistintamente tutti i continenti e la civiltà contemporanea: è tutto questo il romanzo capolavoro di Céline, esordisce Bardamu, seduto a un tavolino in un angolo del palco. Germano ha la voce arrochita e gli occhi allucinati del suo personaggio, tormentato dagli orrori della guerra, dalla solitudine, dalle fatiche ai limiti della sopportazione. germanoteardo01

Rantola affannoso sotto il peso del monolite che si è appena abbattuto sulla sua testa, l’ouverture grave, marziale, martellante (come la prosa di Céline) degli oltre trenta percussionisti che riuniti in cerchio hanno amplificato in una nube sonora metallica l’effetto annichilente della «grandiosa macchina distruttrice», la guerra. Ma è una paralisi solo momentanea: una fusione di sonorità cameristiche, percorse dal refrain ipnotico della chitarra di Teardo e dal lamento sordo e circolare degli archi e dei sintetizzatori, s’impossessa gradualmente del testo, lo scuote dall’interno, lo proietta in un megaschermo cinematico interiore dove anche la voce diventa eco di un futuro tutt’altro che rassicurante. Raramente, qualche schiarita attenua il dolore nel lirismo prima di farci ripiombare nell’oscurità. I tormenti e le visioni di Bardamu, che incedono a grandi passi su quegli intermezzi musicali, denunciano il quadro impietoso della gente cui appartiene, quella «grande accozzaglia di poveracci [...] arrivati già vinti dai quattro angoli della terra», costretti a schiattare per tenere alta la bandiera della patria, a faticare tutta la vita per un tozzo di pane, a leccarsi in silenzio le ferite del proprio fallimento. I poveri non hanno tempo per essere giovani, per fare l’amore, per sperare, non sono «nemmeno capaci di pensare la morte». Sono troppo impegnati a portare la maschera della loro miseria esistenziale, loro, che adorano «un Dio che conta i minuti e i soldi, un Dio disperato, sensuale e brontolone come un porco [...] con le ali dorate». Céline non nutriva né mai nutrì alcuna speranza di emancipazione per le classi subalterne: non aveva bisogno di vagheggiare nuovi mondi o nuove ere, dato che le aveva viste, toccate con mano e riportate per iscritto. Forse per questo, la fermezza della sua posizione, che nulla perdona a sé e agli altri, produce distorsioni apparentemente inconciliabili col contesto post-moderno della “cattedrale”. Nella «massa di inerzia civica», nelle «bestie senza fiducia» che squalificano la condizione operaia a condizione di sub-umanità e dannazione perenni, è vero, Céline vede il peggior prodotto dell’alienazione indotta dallo sfruttamento capitalistico. È però grazie alle fabbriche – sembrano suggerire efficacemente Germano e Teardo – che le periferie (come Barriera di Milano) hanno prosperato, fin tanto che sono rimaste attive. Di quella memoria, oggi, è bene non dimenticare non solo i ruderi, ma la cultura d’innovazione di chi ci ha lavorato. Perlomeno, se si vuole provare costruire un futuro migliore.

Visto a Torino il 28 agosto 2016

Valentina Crosetto 31/08/2016

Per vedere l’ouverture di “Viaggio al termine della notte”: http://bit.ly/2bTF4sA

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