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Supersex: Borghi, Rocco Siffredi e il porno che tutti guardano ma di cui (quasi) nessuno parla

Ogni Paese ha il suo supereroe: se Gotham city aveva Batman, l’eroe che meritava ma di cui non aveva bisogno (come afferma l’ispettore Gordon alla fine di The Dark Knight di Christopher Nolan), l’Italia ne ha uno nuovo, rimasto nell’ombra per lungo tempo, anch’egli definibile in un certo senso un bat-man. È l’eroe che il Paese delle tradizioni antiche forse non merita, ma di cui sicuramente ha bisogno. Si tratta di Rocco Siffredi, l’incubo dei tabù e dei perbenismi.
Le caratteristiche sono le classiche di ogni supereroe che si rispetti: un’infanzia difficile; un idolo che si sgretola davanti ai suoi occhi; un superpotere ingombrante che inizialmente non sa gestire, ma anzi ne è soggiogato; un falso nome sotto cui agire; una società che lo rinnega e forse addirittura lo teme.

Fino a qualche mese fa, di Siffredi si sapeva ben poco: un celebre pornoattore italiano, orgoglio di molti e vergogna di altri, con un accento incollocabile, sposato a un’attrice hard ungherese e padre di due figli. Il 6 marzo scorso, su Netflix, è però uscita Supersex: una serie in 7 episodi liberamente ispirata alla sua vita. Scritta da Francesca Manieri e prodotta da Lorenzo Mieli per The Apartment, una società del gruppo Fremantle, e da Matteo Rovere per Groenlandia, società del gruppo Banijay, che insieme a Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni si è occupato anche della direzione, la serie ha illuminato scenari sconosciuti sulla vita dell’attore.
Premettendo che la prima impressione è quella di avere davanti l’ennesimo prodotto celebrativo di una realtà complessa, atteggiamento diffusissimo tra le produzioni seriali italiane (basta pensare a Romanzo Criminale, Suburra, Gomorra e l’ultima macchina da soldi che è Mare Fuori), in questo caso la situazione è ancora più intricata. Il tema centrale della serie è il sesso, di cui in Italia, liberamente, non si parla quasi mai. Si è iniziato negli ultimi anni a discutere di sessualità, soprattutto collegata alla sfera psicologica e al benessere psicofisico, ma non di sesso e figuriamoci quindi di pornografia. Terminato l’ultimo episodio, la sensazione è quella di essersi avvicinati a un mondo, quello dei film per adulti, che non è poi così esotico, o meglio, non richiede particolari perversioni o “disturbi” per farne parte, ma è molto più “civile” di quel che si è abituati a pensare.

Gli episodi percorrono la vita tutt’altro che semplice di Rocco Tano, nome anagrafico di Siffredi, dall’infanzia tra le case popolari di Ortona, all’adolescenza e prima maturità nel sottomondo promiscuo di Parigi, ai primi film hard a Roma fino all’incontro con Rosza Tassi, che sarà sua moglie. Il fil rouge che collega le fasi della vita di Siffredi è il rapporto con il suo fratellastro Tommaso Tano, interpretato da Adriano Giannini, che per tutto lo svolgersi della serie fa da gancio con il mondo al di fuori del porno e con il vecchio sé, con il piccolo Rocco. La relazione con Tommaso e sua moglie Lucia (Jasmine Trinca) è una montagna russa emotiva e violenta, che si districa tra soprusi, disagi, prostituzione, malavita, amore e gelosie. Talvolta lo stile ricalca i pattern delle serie televisive d’azione sulla criminalità organizzata, tanto da risultare scontato nelle evoluzioni, però è interessante la declinazione dei tratti psicologici dei personaggi e il tentativo di descrivere naturalisticamente i rapporti che tra loro intercorrono.
Poiché l’evoluzione del protagonista va di pari passo alla scoperta della sua sessualità vorace e irrefrenabile, le scene di sesso sono moltissime e i filtri pochi (non è categorizzabile come porno solo perché non è mai esplicita la penetrazione). Così come la violenza, il nudo e il sesso fanno audience e, forse per questo, in alcuni casi è stata un po’ calcata la mano. Diverse scene erotiche risultano un surplus, un eccesso, forse se ne poteva tagliare qualcuna e approfondire dei temi paralleli, a cui si accenna solo rapidamente. Un esempio è la diffusione delle malattie veneree e in particolare dell’AIDS in quegli ambienti, a cui sono dedicate solo un paio di battute e che invece sarebbe stato interessante raccontare.

È evidente il tentativo di riprodurre la condizione ghettizzata dei lavoratori del settore pornografico in una società perbenista come quella italiana. L’impostazione fondamentalmente cattolica di un Paese che negli anni Ottanta cercava di liberarsi dai vecchi retaggi, da un lato, apriva spiragli per nuove forme espressive e, dall’altro, condannava chi provava a penetrarli. La società del buon costume puntava il dito contro i “perversi” e contro i “deviati” (termine raccapricciante con cui si indicavano gli omosessuali), facendo di tutta l’erba un fascio, di tutto il diverso un pericolo. Quello stesso dito però poi, nel privato, lo rigirava verso sé stessa, sigillando un’ipocrisia da condannare al silenzio. Nella serie, la lente d’ingrandimento sulle difficoltà di fagocitazione del porno in società è rappresentata dal rapporto tra Rocco e la sua famiglia di Ortona. Una madre cattolica e devota, un padre severo e dolce insieme e molti fratelli per cui è quasi impossibile accettare il modo di vivere dell’attore. Tramite l’amore familiare, la fiducia e il dialogo, progressivamente Rocco viene compreso e riaccolto. Questo è emblematico rispetto alla necessità di dibattito su ciò che non si conosce e non si capisce, in questo caso il sesso e la pornografia, e la famiglia è qui specchio di uno schema più grande, di una mentalità diffusissima.
Siffredi ha seguito tutta la produzione della serie, premendo perché emergesse il proprio percorso personale e i caratteri dell’uomo sotto la maschera, non del pornodivo. I costumi di scena sono stati presi dal suo armadio e ha scelto personalmente Alessandro Borghi per interpretare il sé adulto, il quale non ha deluso le aspettative offrendo una performance evidentemente sentita. In molte interviste, alla domanda sul perché avesse accettato il ruolo, l’attore romano ha risposto: «perché non sono un bigotto, mi piaceva la cosa e inoltre in Italia interpretare questo ruolo è un bel modo per litigare con tanta gente. […] “ma perché nessuno mi ha chiesto come mai ho accettato di fare Aureliano che era uno che sparava a tutti?»
Ed ecco il focus del problema: in Italia, è più logico avere a che fare con criminalità organizzata, mafia e violenze, che con il sesso e la pornografia.

E adesso ci lasciate dire il porno?
Tra divi ripuliti e seconde serate: quando il servizio pubblico castra il dibattito

Tu prova ad avere un mondo da dire sul porno in TV in Italia e non riesci a esprimerlo senza scatenare un’interrogazione parlamentare a riguardo. Ne sa qualcosa Rosa Chemical, che nel febbraio del 2023 si tira addosso l’ira funesta della deputata di Fratelli d’Italia, Maddalena Morgante. L’accusa? Aver presentato un brano che racconta «sesso, amore poligamo e porno su OnlyFans» sul palco della 73^ edizione del Festival di Sanremo: «inaccettabile – ci tiene a precisare l’Onorevole con il kink per la tradizione – che questo possa avvenire non soltanto sulla TV di Stato, che troppo spesso dimentica il suo ruolo di pubblico servizio, e a spese dei contribuenti, ma soprattutto di fronte ai tantissimi bambini che guarderanno la televisione per una serata in famiglia». E il MinCulPop ringrazia.

La storia del porno sui media nostrani ricorda quella più famosa dell’elefante nella stanza: tutti, alla fine, sanno che c’è, ma (quasi) nessuno vuole davvero accorgersene. Discuterne, tantomeno. E in uno showbiz con la tendenza alla divizzazione, sembra quasi di assistere a un fenomeno di integrazione: la rimozione coatta delle pornostar dal loro contesto standard per avvicinarle al pubblico in nuove forme “decontaminate”. Ecco allora Casa Siffredi, il docureality mandato in onda nel 2016 da La5, dove ci viene presentato un Rocco ripulito dal suo bagaglio professionale e riconfigurato in un’ottica familiare e di più agevole digestione per un’audience generalista. Rocco che sbuccia i carciofi, Rocco che scherza coi figli. Solo di sfuggita quel Rocco Siffredi pornoattore che è provvidenzialmente richiamato in causa in Supersex, la nuova serie diretta dal trio Rovere-Carrozzini-Mazzoleni e distribuita da Netflix. Ecco, ancora, Malena ospite nei salotti pomeridiani di Mediaset, dove l’unica pornografia residua, al massimo, è quella del dolore strumentalizzato.

In questa selva di repulisti, resistono anche delle radure – e qualcuno, tra servizi in pillole e scampoli di seconde serate, di porno in TV prova a parlare, con buona pace di Morgante. C’è un giornalismo d’inchiesta, ad esempio, che scava per far emergere le complessità di un mondo ricco di opportunità e contraddizioni e per fornire una lettura critica di più ampio respiro su tutta l’industria dei film hard. È quello che azzarda Petrolio, trasmissione originariamente della seconda serata di Rai1 e di recente promossa in prima serata su Rai2, che nel 2018 sceglie di intervistare la regista Lidia Ravviso, tra le fondatrici del collettivo di intellettuali Le Ragazze del Porno, per raccontare i limiti di un genere troppo spesso ancorato a stereotipi nocivi e «dominato da un unico sguardo, che quasi sempre è uno sguardo violento, aggressivo e anche poco aderente alla realtà». Una narrazione precisa di come il porno si interseca con temi di scottante attualità sociale, come le rivendicazioni delle battaglie femministe e i loro risvolti sul mondo dello spettacolo e che mostra perché sarebbe opportuno parlarne. Trova voce anche Erika Lust, regista svedese da sempre in prima linea nelle questioni di diritti ed etica pornografica. Quattro minuti scarsi, ma almeno si viene (a conoscenza di aspetti non sempre noti ai più).

Mette più carne al fuoco il ben strutturato esperimento di Sex, programma «di intrattenimento che allo stesso tempo educhi e informi» (come riporta la descrizione su RaiPlay). Sei puntate, in onda nel deserto della seconda serata agostana targata Rai3 del 2022, ma ancora reperibili in streaming, dove si ritagliano uno spazio televisivo riflessioni su temi come il sexting, l’identità di genere e anche la pornografia. Un salotto semi-informale dove la padrona di casa, Angela Rafanelli, ospita sessuologi e sessuologhe, scrittrici e scrittori, oltre a professionisti e professioniste del settore. Nel terzo episodio, sul divanetto c’è Romeo Mancini, regista e pornoattore, che nel 2011 è emigrato a Los Angeles per far fare un salto di qualità alla sua carriera nel mondo dell’hard. Ne escono spunti interessanti intorno alle modalità di accesso alla professione, all’educazione sessuale ricevuta in un Paese come l’Italia, alle criticità di una macchina da soldi imponente come quella a stelle e strisce. Conversazioni che spiazzano per una spontaneità a cui non si è abituati sul piccolo schermo di casa nostra. Spiazzano anche parte della stampa conservatrice, a quanto pare, con la redazione di Avvenire che si confessa «perplessa per l'enfasi con cui l'autrice-conduttrice, che si dice abbia lottato anni per portare in TV questo suo progetto, parli di ‘un programma di servizio pubblico’». Che rimane pur sempre il servizio pubblico del Paese all’ottavo posto globale per accessi su PornHub nel 2023. Ma questo resti tra noi, il dibattito pubblico può aspettare.


15/03/2024 – Costanza Alessandri, Andrea De Luca Italia

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