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Rai 5, Diario di Amleto a Gerusalemme: riletture contemporanee di capolavori senza tempo

I capolavori sopravvivono. Sempre. Attraversano le epoche, si prendono gioco dei cambiamenti, assistono – apparentemente inermi – alle rivoluzioni antropiche: eppure, alla fine, essi sono lì, capisaldi dell’evoluzione umana capaci di adattarsi all’epoca cui vanno incontro, di farsi reinventare, di abbandonarsi nelle mani di nuovi artisti, di farsi manipolare e di cambiare vesti, riuscendo – al contempo – a conservare la loro originaria forza di rivelazione.
Sono passati ben 400 anni dalla sua dipartita, 400 anni in cui i suoi scritti hanno scavalcato i confini nazionali, 400 anni in cui le sue opere letterarie e teatrali hanno influenzato ogni genere d’arte cui l’essere umano si sia fin’ora dedicato. Sono passati 400 anni dalla morte di Sir William Shakespeare e il suo lascito continua a essere fonte d’ispirazione per molti, la sua eredità continua a fare proseliti, le sue parole risuonano nei teatri di tutto il mondo. Ancora e ancora.
Neanche la televisione si sottrae al richiamo perentorio, alla necessità di celebrare le opere di un genio che si rivelano ancora portatrici di grandi verità esistenziali, verità che sviscerate, analizzate, scomposte e rimodellate, possono essere utile strumento di guida e di disamina anche del mondo contemporaneo.
Rai 5, nella giornata di sabato 23 aprile, ha dedicato interamente la sua programmazione alla messa in onda dei capolavori del genio inglese: si è partiti dal mattino, alle 9.00, con La dodicesima notte di Carlo Cecchi, sulla traduzione di Patrizia Cavalli e con le musiche del maestro Piovani. Alle 11.30 è stata la volta dell’Ex Amleto, una riflessione sul classico shakespeariano con Roberto Herlitzka protagonista unico, magnifico interprete di tutti i personaggi. Alle 13.15 è stato proposto lo spettacolo andato in scena al Piccolo di Milano, di e con Laura Ciurino, per la regia di Daniela Vismara: Shakespeare. Streghe, ribelli e altre passioni. E ancora lo spettacolo teatrale del premio Oscar Tim Robbins, tratto da Sogno di una notte di mezza estate – Tim Robbin’s dreams – e Der Park, la tragicommedia scritta dal tedesco Botho Strauss per Peter Stein, che ne ha firmato la regia nel 1984.
Una carrellata senza interruzione di grandi reinterpretazioni, di rivisitazioni che hanno segnato il cammino del colorato e complesso mondo delle opere shakespeariane fino ai nostri giorni.
La prima serata è stata però foriera di un tesoro più grande, la televisione ha raccontato il teatro in maniera ancora più profonda, gli ha concesso i suoi occhi, la sua bocca, gli ha regalato le orecchie dei suoi ascoltatori per permettergli di spiegare uno spettacolo che va oltre l’esibizione.
Non “l’arte per l’arte”; ma arte che fa riflettere, che unisce, che costruisce ponti, che – con mano ferma – accompagna in un cammino di crescita, di conoscenza di sé e di autoconsapevolezza.
Diario di Amleto a Gerusalemme è il docufilm di Giulietta Vacis che, con una narrazione semplice ma incisiva, porta nelle case dei telespettatori la storia della costruzione di uno spettacolo teatrale, i cui lavori iniziali risalgono al lontano 2008. Un progetto nato al Palestinian National Theatre di Gerusalemme Est, sotto l’egida del Ministero Italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione per lo Sviluppo; un progetto che ha visto protagonisti ragazzi palestinesi, coinvolti in una lunga serie di lezioni e workshop teatrali tra Palestina e Italia.
È la storia di ragazzi che desiderano ardentemente il palcoscenico, la storia di ragazzi e ragazze per tanti versi simili ai loro coetanei europei. E per tanti altri versi, cosi differenti. È il racconto che Marco Paolini e Gabriele Vacis ci regalano di questa esperienza unica che li ha portati a fare i conti con una realtà in cui per il teatro si può rischiare la vita; un’esperienza che più volte ha corso il rischio di arenarsi ma che, per esserci, ha lottato.
Lo spettacolo "Amleto a Gerusalemme", una produzione del teatro Stabile di Torino, andato in scena il 29 marzo 2016, narra, utilizzando a pretesto la storia del Principe di Danimarca, le vicissitudini di un gruppo di 5 giovani attori palestinesi, affiancati sul palcoscenico da due colleghi italiani e da una ragazza italo palestinese. Il punto su cui il racconto televisivo – così come lo spettacolo teatrale – si sofferma con maggiore veemenza, è la strenua fermezza di questi figli nel volersi liberare delle colpe dei padri. La volontà di scrollarsi di dosso eredità imponenti, che logorano.
“Ciascuno di loro è Amleto. È un Amleto che non si rassegna al destino di Amleto”, dice Marco Paolini, sottolineando il desiderio di mettere in discussione l’ingiustificata necessità di seguitare a percorrere itinerari non propri, in cui ci si ritrova fatalmente imbrigliati. Il regista Gabriele Vacis evidenzia l’intenzione di costruire dei ponti tra la storia di Amleto e le singole storie di quei ragazzi che sono lì di fronte allo spettatore, la volontà di cercare punti di contatto da cui, però, possa partire una riflessione che porti ad una lettura diversa del finale.
In Shakespeare il tema della vendetta è fondamentale, una vendetta che si percepisce giusta perché motivata da una comprovata verità. E, a Gerusalemme, molti si sentono portatori di verità assolute e inconfutabili: ma questi ragazzi no. Non gli interessa stabilire veridicità di fatti e situazioni storiche i cui confini, nel tempo, diventano sempre meno netti. Non gli interessa erigersi a vittime. Essi vogliono vivere nella loro città, naturalmente. Essi sono la rappresentazione di un Amleto evoluto, di un Amleto che sa quanto possa pesare l’ingombrante fardello di un retaggio inevitabile, e di quanto possa essere invece liberatorio l’affrancamento da un passato di cui non si è fatto parte.

Anastasia Griffini 25/04/2016

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