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"Wonderland" siamo noi: viaggio nella follia

E se ognuno di noi, avesse dentro di sé, un po’ di “Alice nel Paese delle Meraviglie”?
L’animo umano potrebbe essere un viaggio senza fondo, popolato dai più bizzarri personaggi: ciascuno rappresenta una parte di ciò che eravamo o di ciò che siamo diventati dopo una serie di vissuti. Allora “Alice” è la nostra parte “bambina” e “curiosa”, quella che non vorrebbe crescere mai e ci spinge a giocare con la vita, piuttosto che occuparci di cose serie, da “adulti”. 

Alice03Alla Fonderia delle Arti di Roma, con “Welcome to Wonderland”, la compagnia teatrale Oneiron, diretta da Riccardo Maggi, ci dà il benvenuto alla follia, all’allucinazione, al sogno, all’irrazionale, insiti in uno spirito – il nostro - che è debole e, consciamente o meno, è forgiato da ciò che capita. Quando ci accade un evento traumatico, l’eventualità di “perdere la testa”, a volte anche solo per un breve momento, è dietro l’angolo. È così vergognosa la pazzia? A guardarci bene dentro, dialoghiamo costantemente con delle personalità sfaccettate, fatte di risvolti, segreti, ricordi, dolori, gioie e desideri. Un dialogo composito che, esternamente, riportiamo sotto forme socialmente accettabili. Il Bianconiglio (Nicole Petruzza) rappresenta quando “perdiamo di vista noi stessi”, e ci rincorriamo, da una situazione di disagio all’altra, non sentendoci compiuti, perpetualmente in ritardo tra ciò che sentiamo di essere e ciò che vorremmo. Alice (Viola Zanotti) è una voce ingenua, limpida, sempre meravigliata, un po’ troppo volubile per resistere a un mondo che richiede di essere scaltri, pronti, diffidenti.Conciliare queste due parti è un’esigenza che, il corso naturale di un’esistenza, richiede tramite fasi di crisi.

Ogni personaggio del racconto di Lewis Carroll è un folle, un malato psichiatrico, così diventato in seguito a traumi: dei gemelli, lui e lei, che stordiscono Alice con racconti e scioglilingua, in realtà, ne esiste solo una. Convinta di procedere sempre insieme al fratello, non ha mai superato il dolore di averlo visto ammazzato.
Alice04Il Cappellaio Matto segna sul suo orologio il 31 agosto 1939 da una vita: il tempo si è fermato il giorno prima della sua deportazione in un campo di concentramento. Il suo amico, la Lepre Marzolina, lo asseconda e recita a suo fianco. Lo Stregatto è convinto di avere il potere dell’invisibilità perché si è sempre sentito non considerato - e in realtà, lo si vede benissimo.
A far parlare ogni “paziente” di sé, scardinandone momenti drammatici, riportando a galla la verità soggiacente alla pazzia, è Lewis Carroll, l’autore della storia, nei panni dello psicologo di un manicomio.
...e la Regina di Cuori, la “mozza teste”? È una suora che, in disaccordo con il metodo psicanalitico, ritiene molto più efficace l’elettroshock. Nove sono gli attori della compagnia Oneiron che si alternano sulla scena.

Ritmi serrati, costumi stravaganti, musiche, luci, scenografie (solo qualche sedia e un tavolo, all’occorrenza, che gli interpreti portano o tolgono dalla scena) avverano uno spettacolo profondo, onirico, surreale, travolgente, come se ognuno di noi fosse l’Alice che, inseguendo il Bianconiglio, è caduta in un mondo sotterraneo fatto di paradossi, nonsense e allucinazioni.
Ci ricorda “Qualcuno volò sul nido del cuculo” ma con tinte di sogno, una “Pazza Gioia”, come il film di Virzì del 2016, dentro all’universo infinito di immaginazione del Paese delle Meraviglie, ormai consapevoli che la realtà, spesso, supera qualsiasi previsione della fantasia.

Agnese Comelli 28/03/2017

 

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