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“Un certo Julio”. Fabrizio Gifuni e Javier Girotto: due voci per quattro anime

L’atto politico per eccellenza consiste nell’iniettare immagini nei cervelli”: le parole di Franco Cordelli introducono e sintetizzano alla perfezione “Un certo Julio”. Dopo Camus, Pasolini e Testori, lo spettacolo di Fabrizio Gifuni – nel quarto e ultimo appuntamento con “L’autore e il suo doppio” – è un omaggio all’argentino Julio Cortázar e al cileno Roberto Bolaño. Due scrittori così diversi accomunati dal sottile e unico senso comune della sperimentazione (e non solo) e portati in scena l’11 e il 12 marzo al Teatro Vascello.
L’attore romano dà voce, nella propria mise en éspace, a due giganti della scrittura latino-americana (nella traduzione di Ilide Carmignani), accompagnato dal sassofonista e compositore argentino Javier Girotto. Una lettura scenica acustica che intreccia parole e musica, armonizzate al ritmo sincopato di un’attraente fusione che alterna tango e influenze jazz. Le note piene accompagnano la voce chiara e profonda di Gifuni e insieme, musicista e attore, rappresentano uno splendido trait d’union tra gli autori e il teatro: si ha la sensazione di girare e ballare per strade e quartieri spagnoleggianti.Gifuni2
Sul palcoscenico quattro statuette azteche e otto sassi posizionati in scala, dal più piccolo al più grande. Monito di un’antica civiltà così radicata nella cultura dell’America del Sud. Oggetti piccoli ma non abbastanza da passare inosservati all’occhio attento dello spettatore.
Fabrizio Gifuni riempie la scena. Il corpo è sempre l’elemento centrale che mette in risalto una lettura partecipata, allegra e a tratti quasi sofferta: mani e braccia seguono l’andamento della voce, scandita con sicurezza e padronanza.
I racconti di “Un certo Lucas” – che altro non è che “Un certo Julio”, alter ego di Cortázar – alle prese con la giusta sistemazione di una margherita all’interno della stanza di ospedale, sottolineano il desiderio di guardare la realtà in tutte le sue molteplici sfaccettature, da ogni punto di vista, attraverso i suoi più piccoli e (in)significanti dettagli. Mentre il fiore si sposta, il nostro sguardo è costretto a seguirlo. Immobile ma obbligato a cambiare prospettiva continuamente, a respirarne l’essenza. Tra seria realtà e stimolante ironia.
Bolaño, fortemente influenzato da Cortázar, il suo più grande esempio insieme a Borges, gioca, scandaglia e sperimenta con l’irriverente “I detective selvaggi”: l’attore ci trascina, parola per parola, anche in questo viaggio nella Città del Messico anni ‘70.
Con delicato e acuto umorismo dietro al quale si cela un’amara solitudine, le letture proposte e recitate sapientemente da Gifuni, hanno la capacità di mettere tutto in discussione senza porre limiti all’immaginazione. La voglia di andare oltre la scrittura impegna la mente che si muove e lavora con leggera naturalezza.
Lo spettacolo è una ininterrotta conversazione tra parole e suono, un pentagramma di letteratura e teatro. Malinconia e voglia di vivere si mischiano nel sassofono: un ossimoro fatto strumento in costante dialogo con la voce degli autori e dell’attore. Gifuni-Girotto (Cortázar-Bolaño) è un duo (quartetto) ben assortito che dà vita a un irripetibile moderno Orfeo capace di incantare il pubblico. Abbandonarsi alla loro melodia è un vero piacere. Musica per le orecchie.

Silvia Lamia 14/03/2017

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