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"Scannasurice": Imma Villa e il racconto toccante dei Quartieri Spagnoli al Piccolo Eliseo

«Le case sono intonaco e divinità»: un filo rosso unisce la solidità delle fondamenta alle storie volatili che si respirano nelle stanze. Chiusa in un quadro svedese di cemento che lei osa definire “casa”, la protagonista di "Scannasurice" si addentra in un racconto fatto di parole come colpi di mitra e di intensa fisicità. Si muove in uno spazio ostile, buio e claustrofobico, e viene spontaneo pensare alla condizione dell’attore e non solo del personaggio, schiacciato sotto il peso dei teatri che chiudono. Oggi è la volta del Teatro Eliseo che, a causa dell’inerzia delle istituzioni, rischia la chiusura al termine della stagione. MaScannasurice2 "Scannasurice", in scena al Piccolo Eliseo con la regia di Carlo Cerciello, andrà tenacemente avanti fino al 19 marzo. Uno spettacolo che, quindi, ribadisce la sua grande attualità non in un generico presente, ma proprio in un “oggi” che vede arrivare la notizia della probabile chiusura del teatro. Il testo rappresentò il debutto, nel 1982, di Enzo Moscato in qualità di autore e interprete, capace di descrivere in profondità i meandri problematici di Napoli e della napoletanità. “Scannasurice” significa, letteralmente, “scannatopi”: una pratica a cui si dedicavano gli artigiani dei Quartieri Spagnoli usando una spada, tra terribili echi di “boom boom boom” tellurici (siamo all’indomani del terremoto dell’Irpinia) e reminiscenze monarchiche. La stessa spada che, se capovolta, può diventare una croce, emblema della condizione della protagonista. La storia è ambientata in una Napoli degradata che si inerpica per quei viottoli stretti, più che mai allegoria della situazione che il mondo della cultura si ritrova a vivere in questo momento.
Scannasurice3In questa versione, si assiste a una pirotecnica interpretazione di Imma Villa: ininterrottamente sul palco per sessanta minuti, è in grado di strappare con vigore lo sporco di una condizione difficile da definire umana, ma anche la purezza che si specchia nella rievocazione di nostalgie senza mai parlarsi addosso. Il monologo ha il ritmo incalzante della tarantella, di una musicalità che è dentro chi parla senza avere bisogno di nessun accompagnamento. Così come non ha bisogno di un nome la protagonista, un femminiello che canta Napoli e certi suoi angoli soffocanti. Si capisce come la miseria non sia una condizione solo economica, e la religione non corrisponda necessariamente alla fede: in un’edicola votiva prende vita una sorta di “Madonna degli avvelenati” che, con un contagocce in mano, spiega le modalità di somministrazione del curaro.
Passa l’attrice da un settore all’altro di questo cubo imponente che occupa la scena: striscia, si affaccia, si rannicchia in una palestra grigia e opprimente, piena di crepe e di inquilini atipici. Con la stessa fluidità con cui passa dall’essere interprete donna all’essere un uomo travestito, che riporta in vita, per sua stessa ammissione, un passato senza garanzie di autenticità, in attesa di una luna al cui chiarore si addensano i pensieri più cupi. Nascosti come topi nell’intercapedine di un muro, si sprigionano i dolori individuali e si sfilacciano gli orli di racconti corali che prendono voce grazie alla sola Villa. E in un tessuto temporale sempre più slabbrato, in cui vivi e morti si mescolano, passano in rassegna i tarocchi che la protagonista legge per evocare le singolari vicende di uomini e animali. La distinzione è sempre più labile e i confini tracciati sempre meno definiti: ci si abitua alla convivenza con le mosche, le zanzare, le blatte, i topi. «Perché i topi sono proprio una razza, con qualcosa ereditata dalle anguille e qualcosa dai capitoni» sostiene la protagonista. E, in quanto tali, rivendicano una sorta di supremazia. Ma allora, sono uomini o animali? Allo stesso modo, l’attore subisce la triste sorte di una scissione tra la sua condizione umana e quella lavorativa e viene spontaneo chiedersi: è su un palco che si esibisce, davanti a una platea colma di fragorosi applausi, o in trincea, sempre vulnerabile ed esposto a rappresaglie notturne?

Letizia Dabramo 15/03/02017

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