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“Pietro Pan. Le avventure di un perdigiorno”. Perdere, e poi ritrovare, il punto in cui si sbroglia la matassa

La vita umana è scandita dall’altalenante movimento della volontà. Siamo il risultato di ciò che abbiamo sempre sperato di essere e la somma di tutto quello che è capitato senza che lo avessimo mai voluto. È un po’ questo ciò che sembra volerci dire Pietro Pandolfi, il protagonista di questo nuovo lavoro prodotto dall’Associazione Culturale Turne in collaborazione con Catalyst Theater Company.
Il ticchettìo di un orologio. il buio. Alle spalle una vecchia radio. Il rumore di una lancetta che scorre, scandisce l’avanzare del tempo in tutta la sua distaccata indifferenza. Inizia così “Pietro Pan. Le avventure di un perdigiorno”, con il nostro protagonista che dorme sereno su un letto enorme, mentre il mondo è già sveglio da un po’.pietropan
Sul palcoscenico del Teatro di Rifredi di Firenze dove questo spettacolo è stato presentato in prima nazionale, Nicola Pecci veste i panni di un musicista quarantacinquenne che ha «scritto 5 classici della musica italiana» senza che nessuno si sia davvero mai accorto di lui. L’inappagabile brama di conquistare il successo sperato e mai raggiunto, lo fa sentire inadeguato e arrabbiato. E a farlo sentire in difetto è il contesto, i modelli da seguire, quelle cose “normali” e “naturali” che rientrano in “precisi segmenti temporali” chiamati anche, più semplicemente, anni. Ma veramente dovremmo rispondere alla “chiamata” di quegli orologi svizzeri? No. È chiara la posizione del protagonista che però scarica tutta la colpa sull’inesorabilità di un destino indisponente e beffardo.
Pietro Pan è un «perdigiorno», un uomo-bambino che vive nella sua “isola che non c’è”, in quella condizione di ammissibile evoluzione da cui sembra essere affascinato e dannatamente relegato.
Questo è quello che sente e crede di essere fino a che non conosce Lana, la fresca Gaia Bigiotti adatta al ruolo di una sedicenne che lavora in biblioteca, gira sui pattini e mescola metafore letterarie al linguaggio di un’adolescente senza filtri né mezze misure. Nei suoi discorsi cita i grandi autori della letteratura con la stessa semplicità con cui racconta gli esiti di una serata tra adolescenti in cui si «pomiciava» e si «beveva di brutto».
La differenza d’età e il modo diverso nell’affrontare i colpi cui la vita li ha costretti, crea intesa, sintonia, ma soprattutto il senso di una complicità che entrambi sembrano scoprire per la prima volta. Ognuno di loro ha qualcosa dentro che continua a tenerlo ancorato lì, attaccato alle ferite ancora aperte di Lana e all’insofferenza di Pietro. Esistono quindi delle ragioni ben precise che si nascondono dietro la patina dell’adolescente anticonformista e di uno «stronzo, megalomane del cazzo».
Le voci registrate (quelle di Sergio Forconi e di Monica Bauco), rappresentano i primi veri personaggi dello spettacolo. Se ne stanno al di là del telefono e interagiscono con il protagonista in una successione di comiche critiche e bizzarri rimproveri. Il padre non sembra comprendere le dinamiche social(i) di un mondo che vive fino a tarda notte, mentre alla madre, più premurosa, stanno a cuore le sorti un figlio che non è ancora diventato grande ma soprattutto quel “grande” che sperava di essere.
Il Pecci-Pan, a differenza del Peter “creatura” dello scrittore scozzese James Matthew Berrie cui l’accostamento viene quasi spontaneo, subisce gli effetti di un cambiamento proprio per – e soprattutto grazie a - i momenti in cui è il destino a scegliere per lui. A mettere in discussione tutto sono l’arrivo, a cascata, prima di una lettera e poi di Lana. Lo spettatore è subito portato a pensare che tra loro, nonostante la differenza d’età, potrebbe anche nascere qualcosa come un interesse, un’insolita attrazione (per non andare a scomodare l’amore). Ma questo non accade. La storia prende improvvisamente la svolta che non ci si aspetterebbe e allora, forse, tutti noi, dall’altra parte del palcoscenico, siamo più contenti di questa deviazione di rotta, di questo sbatterci addosso qualcosa che non deve essere necessariamente come ci aspetteremmo che fosse.
Pietro, soprattutto nei momenti in cui canta con la sua immaginaria Pan-Band, scava davvero nella parte più profonda di sé. Vuole veramente Lana al suo fianco, la persona che rappresenta l’unica ancora di salvataggio possibile verso cui, allo stesso tempo, sente di avere più di una responsabilità. Veste i panni del super-eroe che nasconde la sua identità dietro una maschera nera, ma lui non è veramente in grado di volare come le sue parole, i suoi ideali, invece, possono e sanno fare.
pietropan2Il cantante che avrebbe voluto diventare si collega più a uno slancio che a un vero modo di essere; Pietro inizialmente interpreta una parte, quella della rock star che riproduce, anzi, mette in scena dei trademark alla Gene Simmons. È come un poeta maledetto disposto a sacrificare tutto - ma soprattutto - se stesso in favore di una creatività che non riesce a trovare collocazione, qualcosa che vorrebbe rientrare nell’idea di un mito alla Kurt Cobain ma che invece si disperde come fumo al vento. Lana decide di seguirlo nel suo inconfessabile e inconfessato progetto, anche se la strada nel quale lo accompagnerà, diventa il vero e l’unico mezzo attraverso cui può confessare anche se stessa. Il viaggio assume così i toni e i colori di un’avventura verso la Londra-Neverland in cui si trovano strane creature che assomigliano a squali affamati di solo piacere, e uomini che credono di possedere la sagacia di una volpe astuta. Alessandro Riccio interpreta Edo, ovvero EdoHard, l’impavido meridionale che va in giro per l’Europa a soddisfare la sua morbosa ipersessualità e Francesco Franzosi (che firma anche la regia dello spettacolo), l’eloquente predicatore che in parte mette a posto ciò che sembrava perduto ormai per sempre. Tutta la rappresentazione è accompagnata dalle suggestive proiezioni grafiche di Paolo Moretti, specchio di quella parte più infantile che caratterizza – e vive dentro - Pietro Pan. Uno dei momenti più emozionanti resta senza dubbio quello in cui si legge il contenuto della misteriosa lettera ricevuta all’inizio. Tutto è fermo, immobile, si sente solo la voce registrata di Lucia Poli che diventa come il flusso di un pensiero scritto poco prima di morire dalla nonna del protagonista. Eccola la vera ragione che lo ha spinto a partire.
Alla fine dello spettacolo troviamo un uomo molto diverso da come lo abbiamo conosciuto; a cambiare non sono i suoi connotati o la percezione del mondo ai suoi occhi. Si trasforma il senso di consapevolezza del sé più autentico, più vero, qualcosa che non deve essere il limite alla realizzazione ma il potenziale straordinario che definisce la sua realtà, l’unica davvero possibile. Servivano quelle parole per trovare il punto in cui la matassa della vita potesse iniziare finalmente a sbrogliarsi senza alterare la parte più sorprendente delle cose: la loro natura.

Laura Sciortino 04/04/2017

Foto: Giovanni Bogani

Leggi qui l’intervista a Nicola Pecci: https://www.recensito.net/rubriche/interviste/recensito-incontra-nicola-pecci.html 

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