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Pensavo fosse amore, invece era una guerra: all’Elettra, “Femminarium” di Andrea Monti, moderno bestiario della razza femminile

Guardando “Femminarium”, spettacolo scritto e diretto da Andrea Monti (un uomo, attenzione), ciò che viene alla mente è un’altra opera, anch’essa scritta da un uomo, nel 406 a.C. circa, ossia “Le Baccanti”, ultima tragedia di Euripide, che ripassiamo rapidamente: Dioniso, per punire il gerarca di Tebe Penteo che rifiuta di riconoscere la sua natura divina, getta un incantesimo sulle donne della città, tramutandole in Baccanti, invasate adoratrici del dio che alternano momenti di estasi dei sensi a vere e proprie orge di sangue, durante le quali squartano uomini e animali con le loro nude mani. Penteo, convinto da Dioniso a travestirsi da donna per mescolarsi alle Baccanti, viene da queste riconosciuto, legato a un albero e fatto a pezzi (il colpo di grazia, per amor di tragedia, gli viene dato dalla madre).
“Le Baccanti” è considerata una delle più grandi tragedie di tutti i tempi, fornendo materiale che avrebbe fatto divertire tantissimo gli psicanalisti di tutto il mondo: le donne ubriache di sesso e di sangue che dileggiano e poi distruggono un uomo che ha osato unirsi a loro sono state il centro di numerosissime rivisitazioni in chiavi più o meno ironiche (in ultimo, e non per importanza, quel capolavoro che è “Venere in pelliccia” di Roman Polanski, 2013). Non è dato sapere se Andrea Monti si sia davvero ispirato a Euripide per scrivere il suo spettacolo, ma a vedere queste cinque donne sul palcoscenico dell’Elettra (dove andranno in scena fino al 13 marzo) il parallelismo sorge quasi spontaneo.
Cinque donne, cinque diverse femminilità. D’altronde, “Femminarium” fa riferimento proprio ai bestiari medievali, una raccolta di specie femminili della razza umana. C’è la donna aggressiva, quella passiva, quella innamorata e quella disillusa, quella che cerca un uomo e quella che si fa cercare, quella mora e quella bionda. Luoghi comuni? Forse. Ma quando il tema centrale dell’opera è l’eterno dibattito “maschi contro femmine” (antico quanto Euripide) il discorso è sempre uguale: gli uomini non comprendono le donne, non le possono comprendere. E quel “chiaro?” che chiude lo spettacolo, rivolto agli uomini in platea, è una provocazione, perché le cinque femmine sono consapevoli di averci confuso ancora di più. Ogni donna vuole qualcosa di diverso (come ogni uomo, perché non è vero che tutti gli uomini pensano solo al sesso), ma più di tutto, ogni donna vuole sentirsi prima che amata, desiderata.
Quando un uomo che non sia un troglodita (ci sono pure quelli) s’innamora davvero di una donna e si ritrova a contatto ravvicinato con l’universo femminile, scopre tante cose anche su se stesso. Scopre, innanzitutto, e a volte con sua enorme sorpresa e rammarico, che non tiene lui le redini sentimentali della relazione; che è più che possibile che nella mente della donna sia passato più e più volte il pensiero “mo questo lo accanno” – lo spettacolo è rigorosamente in romanesco stretto – con buona pace di quella virilissima sicurezza che ogni uomo sente il dovere di ostentare. Insomma in amore (che è una guerra), i cuori da spezzare sono due e la donna ha pari opportunità. Ciò che ha in più è il mistero, quel fulcro di bellezza che nemmeno Monti riesce, dichiaratamente, a cogliere ma che le donne comprendono senza bisogno di parlare. Ed era interessante vedere, durante lo spettacolo, come fossero le donne in sala a ridere di gusto, lasciando noi uomini nel risolino imbarazzato di chi non vuole fare una brutta figura.
Baccanti vere e proprie, capaci di mettere in ginocchio il loro fauno (in questa particolare occasione interpretato da Umbero Papadia e dalla sua chitarra che accompagna i canti e i balli delle donne), queste femmine spietate fanno verbalmente a pezzi i loro uomini, non senza esilaranti contraddizioni: c’è la donna che si concede all’uomo che non le piace (anzi le fa schifo) perché non riesce a resistergli, o quella che dopo dieci mesi di relazione con uno più giovane che la fa sentire amata, viva, sensuale e desiderata pensa sia arrivato il momento giusto per mollarlo, per tutti i motivi di cui sopra.
“Femminarium”, insomma, non pretende di portare nuova linfa al dibattito sul femminismo (perché, diciamolo, con uno stupro ogni mezz’ora, un femminicidio al giorno, la discriminazione che ancora avviene sul lavoro e nella vita, ci sarebbe molto altro di cui parlare), non vuole nutrirsi di politica o di polemica. Si ride sulla guerra più antica del mondo, quella degli uomini contro le donne, in amore, nel sesso, nella vita.
Note a margine: bisognerebbe scoprire cosa verrebbe fuori se, per una volta, uno spettacolo su cosa vogliono le donne fosse scritto e diretto da una donna. Sarebbe un interessante punto di vista.
Inoltre, nell’epoca in cui abbiamo (finalmente) socialmente accettato che l’amore è molto più che uomo-donna o donna-uomo, forse sarebbe il caso di abbandonare vecchi luoghi comuni per crearne di nuovi. Infine, e qui chi scrive è un uomo, un giorno sarebbe bello vedere uno spettacolo dove gli uomini dicono la loro sulle donne. Anzi, a ben pensarci esiste già: si consiglia la visione di “Le streghe son tornate (Las brujas de Zagarramurdi)”, dello spagnolo Alex de la Iglesia.

Giuseppe Cassarà 12/03/2016

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