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"Ophelìa": confessioni di un personaggio shakespeariano

“Il mondo è una prigione” e “la Danimarca una delle peggiori”. Sulla scena ci sono entrambi: un mappamondo e il Castello di Elsinore, due oggetti che rappresentano Amleto. Il suo personaggio, i sui suoi dubbi, la sua insofferenza e la sua follia sono noti a tutti: è il protagonista indiscusso del dramma dell’uomo moderno. Alla sua figura è inesorabilmente legata quella di Ofelia. Tanto enigmatica quanto quella del protagonista. Il suo doppio? Sicuramente la prima vittima della sua pazzia.
Giacomo Sette scrive “Ophelìa”, diretto da Gianluca Merolli (alla sua terza regia) e andato in scena il 28 febbraio al Teatro India che ospita ancora una volta il Teatro dell’Orologio. Lo spettacolo apre la settimana – S’è fatto tardi molto presto – in sostegno del teatro chiuso lo scorso 17 febbraio: ogni giorno una rappresentazione fino al 7 marzo.Ophelia2
La giovane dama di corte (Giulia Fiume), in un’atmosfera scura, narra la famosa storia di Amleto (Giuliano Peparini). Un punto di vista inedito raccontato da uno dei personaggi femminili shakespeariani più affascinanti. Una messa in scena fatta di parole, musica e movimenti che accompagnano il flusso di coscienza di Ofelia, scavando nelle sue intime emozioni e nel suo personale e lacerante rapporto con il Principe di Danimarca. Una relazione che la manda fuori di testa, incapace di mantenere il controllo su Amleto e su se stessa, dando il via a molteplici elucubrazioni mentali: “è colpa mia se è pazzo?”. Da contraltare la figura fredda di Fortebraccio (Federico Le Pera), punto fermo in questo turbinio di sentimenti. Tutti, anche la Regina Gertrude (Gaia Benassi), concorrono alla narrazione, dialogando con il testo di Shakespeare. Alla recitazione si alternano la musica (Fabio Antonelli) suonata e cantata dal vivo e il racconto didascalico dei personaggi. Il plastico del castello, a destra della scena, diventa un piccolo teatro nel teatro – quel metateatro che nell’opera del Bardo è fondamentale, funzionale allo smascheramento dell’assassino del Re – nel quale vengono posizionati dei piccoli pupazzi, riproduzioni dei protagonisti della tragedia. Una telecamera riprende ogni piccolo spostamento poi trasformato in video e proiettato su una tenda-schermo al centro del palco: uno zoom, un buco della serratura attraverso cui lo spettatore può spiare i personaggi-burattini che guidano e sistemano loro stessi nelle incerte mura di Elsinore. Una scelta originale e particolare che punta i riflettori su quanto ognuno sia vittima più o meno (in)consapevole, pedina nelle mani del lucido delirio amletico. Gli attori dirigono la scena costruendola di volta in volta con l’aiuto di pochi oggetti, palesando il loro tormento frenetico con gesti, voce e strumenti. La macchinazione è alla base del dramma originale e anche di quello rivisitato.
Ofelia, vestita di abiti neri e fiori rossi tra i capelli, confessa il suo amore folle e non corrisposto attraverso un linguaggio nuovo e attuale, sicuro ma fragile. Si dispera per il rifiuto di Amleto, vaneggia. La pazzia si espande a macchia d’olio. Il suo personaggio affoga in una vasca, coperto di fiori. Amleto e Ofelia sono ingabbiati nello stesso mondo. Per evadere da questa prigione, rimane solo la morte.

Silvia Lamia 02/03/2017

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