Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

Michele Placido dirige “L’Ora di Ricevimento” di Stefano Massini: un invito a far pace con i propri sbagli

Chi ha troppa ragione, è perduto” diceva Voltaire. Lo sa bene il professor Ardèche, protagonista di “L’ora di Ricevimento”, in scena al teatro Eliseo di Roma fino al 26 di marzo.
Michele Placido ci introduce nella banlieue di Les Izards. Il professore insegna francese, in una scuola dell’area metropolitana di Tolosa, a una classe multietnica con tutte le difficoltà del caso. Nell’ora di ricevimento, ogni giovedì dalle 11 alle 12, incontra i genitori dei ragazzi che puntualmente hanno qualcosa di cui lamentarsi.
Una scatola di intonaco e ventisei occhi che mi guardano”. Fabrizio Bentivoglio, al centro di una scena spoglia costituita solo da una cattedra, banchi e sedie, comincia così a raccontare le vicende del professore nel corso dei suoi trentadue anni di insegnamento nella stessa scuola. L’albero che si intravede dalla vetrata sullo sfondo assiste impassibile all’avvicendarsi dei mesi e degli anni.
Tredici i ragazzi dell’attuale Sesta C, che convivono giornalmente con i docenti. Classi ogni anno inevitabilmente diverse ma sempre uguali a loro stesse, in cui si possono riconoscere delle personalità già ben definite, pur trattandosi diloradiricevimento01 bambini di soli 11 anni. Ardèche dunque descrive, usando dei simpatici soprannomi, le varie tipologie di alunni che formano la classe: il cosiddetto Raffreddore, l’Invisibile, il Boss, la Missionaria, e molti altri. Chi vive per difendersi dal freddo, chi svanisce perfino a se stesso, chi ha lo sguardo costantemente altrove, chi vince anche quando perde, chi fa il prepotente, chi ha una vocazione innata per aiutare gli altri e via dicendo.
L’insegnante si incontra/scontra con le tradizioni legate all’origine etnica delle famiglie dei ragazzi e in particolare, alla religione. “Io tratto i musulmani come fossero ebrei e viceversa ed entrambi come fossero cattolici”. In lui non c’è alcun pregiudizio dettato dalla mera intolleranza, anzi rispetta e accoglie ogni cultura, pur riconoscendone dei limiti di fondo, che spesso inficiano il regolare percorso scolastico. Al contrario del nuovo insegnante di matematica Philippe con cui spesso si confronta, il protagonista si definisce rassegnato alle follie familiari e con ironia invita il collega a far propria la tranquillità caratteristica della “saggezza indiana”, in nome della sopravvivenza.
Come dopo un lungo sonno, il professore a causa di un incontro inaspettato (che non sveleremo), si accorgerà di non essere immune agli errori di valutazione, in termini umani.
Forse non è necessario sottolineare quanto Bentivoglio sia un attore nel vero e più profondo senso del termine. Dopo pochi minuti dall’inizio, ci dimentichiamo di avere di fronte un interprete, ma vediamo solo Ardèche. Incredibile nel rendere ogni sfumatura del personaggio, dal tono più comico a quello più amaro, velato di drammaticità. È evidente che i giovani attori Francesco Bolo Rossini, Giordano Agrusta, Arianna Ancarani, Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarlori, Balkissa Maiga, Giulia Zeetti, Marouane Zotti siano stati scelti sapientemente per questo testo teatrale; complici le loro origini multiculturali (facilmente identificabili), riescono a donare carattere e spontaneità alle figure dei deliranti genitori.
Placido si riconferma un grande regista, che dell’essenzialità fa un vanto e mira dritto a scuotere lo spettatore. Il testo di Stefano Massini tratta i problemi della contemporaneità e parlando di giovanissimi studenti, si interroga su questioni sociali complesse e a tratti scomode.
Un ‘gioiello’ teatrale di semplicità e immediatezza, da (ri)vedere. 

Sara Risini 10/03/17

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM