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Agiografia ostinata e umana: Gli Omini battono “L’asta del Santo”

Potremmo scomodare decine di pensatori, scrittori, filosofi che nel corso delle proprie parole hanno cercato di dare un senso – razionale – alla nozione di gioco. Per Lao Tzu “Il gioco è la medicina più grande”, così come per Pablo Neruda “Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé”; George Bernard Shaw affermava in maniera pungente che “L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare”, mentre per Sigmund Freud “Il contrario del gioco non è ciò che è serio, bensì ciò che è reale”. Nel gioco c’è lo scarto volontario tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra materialità e rappresentazione, tra verità e messa in scena; Gli Omini - da anni portavoce di una narrazione della contemporaneità intelligente, profonda, acuta – nella costruzione de “L’asta del Santo”, allargano a macchia d’olio la precarietà buona di tali equilibri chiamandoci a partecipare attivamente, bisognosi come siamo di fughe dal reale.asta1
Francesco Rotelli ci accoglie all’ingresso in platea, donandoci il sacchettino del Caso, della nostra felicità: siamo autorizzati a giocare, a prendere parte alla sfida per aggiudicarci a colpi di gettoni (con un valore che varia da mille a centomila lire) i migliori virtuosi. 52 santi per altrettante carte a raffigurarli, un palco che diventa una sorta di altare per celebrare la messa (laica) a cui stiamo per assistere, simile a un ring illuminato da luci da talent show; un battitore d’asta (Luca Zacchini) vestito di bianco - candido, a purificare i nostri sguardi e le nostre intenzioni come un ispirato missionario – e con pochi elementi rosso sangue, scarpe e maglione, a sottolineare per noi l’attenzione alle pulsioni vitali; minimi gesti a ricalcare una liturgia nota (il vino offerto) e il silenzio viene presto rotto dall’inizio dell’omelia. Semplici regole ma necessarie danno inizio a questo mercante in fiera sulle vite dei santi.
asta2Santi di strada, Santi d’acqua, Sante donne, Santi martiri. Quattro semi per le figure scelte tra migliaia di santi riconosciuti e disegnate da Luca Zacchini - sembrano tarocchi colorati e vivi, pronti a illuminare il nostro futuro imminente - dalle storie originali, alcune del tutto sconosciute come quelle di San Frontone, San Poppone, Santa Liduina, Santa Carissima Beata Carità Maria Giuseppe Carolina Brader, San Mammolino, per citarne alcuni; storie senza traccia, senza radici effettive, ma che Gli Omini hanno cercato di ricostruire. L’asta non conosce tempi morti: c’è l’asta doppia, tripla e quadrupla, la sfida diretta, l’asta al ribasso, tutto per conquistare una delle carte e tentare la vittoria finale, intanto che i santi estratti vengono appesi ai tre fili che campeggiano sul palco come fossero panni tesi.
Lo spettacolo ha il ritmo irrefrenabile di Zacchini - caustico e sarcastico, a dominare la scena e le scelte, mentre nomina e racconta queste vite incredibili con il piglio di un viscerale cronista sportivo e la brillantezza di uno show man a tutto tondo - e la poliedricità di Rotelli, il Fratello Pesce che fa da specchio al battitore, correndo da una parte all’altra della platea per consegnare (smerciare) carte e ritirare fiches; la sua è un’energia incontenibile che sul palcoscenico si trasforma in performance di cui non siamo mai sazi (come l’interpretazione vibrante di “Ciao amore, ciao” su Sanremo).
“L’asta del Santo” è una pièce pop, irriverente, dissacrante, un gioco paradossale che vorremmo non finisse mai. Il valore spirituale e tradizionale dei santi viene smontato da Gli Omini per far spazio alla loro umanità: grazie alla scrittura veloce, immediata e sfolgorante di Giulia Zacchini (sua la sceneggiatura) e alla capacità, propria della compagnia, di camminare sempre sul limite dell’assurdo, riuscendo ad addomesticarci a personaggi estremi, borderline, illogici, i santi prendono le caratteristiche di soggetti letterari, vicini al nostro sentire, eroi di una religiosità personale fatta di identità e non di santini.
In fondo abbiamo tutti un santo a cui appellarci; e il nostro, per quella serata, è stato San Calimero: “Vescovo di Milano, persecutore dei pagani e fautore del battesimo coatto, si presume battezzasse persone a loro insaputa, forse proprio alle spalle. Preso di forza e buttato a testa all’ingiù dentro a un pozzo, qui, con diverse licenze dell’autore è ritratto piccolo nero e pulcino indifeso”.
La messa è finita, andate in pece.

Visto al Teatro di Rifredi, Firenze.

Giulia Focardi 10/03/2017

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