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"Il bacio della vedova" non fa sconti ai carnefici

CERVIA – E' buio e fosco in questa sorta di scantinato che pian piano perde la sua connotazione reale finendo per diventare metafora del groviglio esistenziale e nero che alberga ed è cresciuto come tumore dentro le menti, i ricordi, i traumi, gli incubi dei tre personaggi sulla scena. Un classico triangolo dove ai due lati più lineari e banali, gli uomini, tradizionalisti e maschilisti manovali che si punzecchiano e sfottono e attaccano infantilmente, poco soddisfatti delle loro vite sempre uguali, si aggiunge improvvisamente il terzo, la donna (Margareth), che cambia i connotati, che toglie la polvere, che fa saltare tutti i piani, che rimescola il destino, elettrizza l'ambiente. L'elemento di rottura femminile fa da ago della bilancia in questo noir dove, fin dall'inizio, si sente che qualcosa si sta per incrinare, che la crepa sta per cedere, che le fondamenta di quel castello di carte faticosamente costruito, o meglio che ognuno a suo modo aveva tentato di rimuovere e nascondere tn_il-bacio-della-vedova-2_1000x0_1b8227d57b5388c88ea829ef451f701e.jpgper vergogna negli anfratti della psiche, sta per crollare miseramente come un colosso dai piedi di argilla. In una cittadina di provincia (nel testo di Israel Horovitz, l'America più rurale e ignorante e analfabeta e senza prospettive) due giovani uomini, si presuppone tentenni o giù di lì, si raccontano in modo goffo e sguaiato conquiste amorose colorite da dettagli e particolari camerateschi giocando adolescenzialmente con tabù sessuali, timidezze confuse con spacconerie, arroganze e impacci, prepotenze e imbarazzi.

Sono Archie e George, due superstiti, due che sono restati, due che non ce l'hanno fatta, che sono rimasti impigliati e invischiati e impantanati nelle morse calde di pseudo comfort zone del paesello che li ha risucchiati in un vortice dalle giornate tutte uguali. C'è una provincia che se non la lasci a poco a poco ti inghiotte come sabbie mobili, senza che tu te ne accorga, c'è una provincia che serve per farti nascere e dalla quale devi avere la forza per andartene, per salvarti, per essere felice, non senza fatica, in un altrove distante da lì. Ma come si dice “puoi togliere il ragazzo dal ghetto ma mai il ghetto dal ragazzo”, e le dinamiche con le quali sei cresciuto, le regole imparate per strada, quell'imprinting feroce e brutale di alcune 617c197af0cdf942870115.jpgperiferie, ecco quelle non te le puoi sradicare e scardinare di dosso, sono tatuaggi dolorosi non rimovibili. “Il bacio della vedova” (visto al Teatro Walter Chiari di Cervia, messo in scena con pulizia e ardore dalla regista Teresa Ludovico, produzione Teatro Kismet di Bari) ha in sé componenti psicologiche e investigative, esistenziali e sociologiche, antropologiche.

Si percepisce che quel cupo esterno rifletta le ombre spesse e solide che i tre nascondono dentro, nel loro animo più profondo. E' una resa dei conti da Far West, si sente il clima da ultima spiaggia, un incontro che sarà finale e fatale, una vicenda che cambierà i destini dei tre in campo, un momento topico che i tre sapevano che prima o poi sarebbe arrivato per tentare di riequilibrare il passato, per cercare di mettere una pezza ad errori grossolani e giganteschi come macigni che li hanno travolti, distrutti, azzerati. E c'è una metafora strisciante che li “abbassa” a bestie da zoo: Archie era soprannominato La Capra, George era invece Il Rospo, mentre Margy era La Coniglietta. In questa “fattoria degli Animali” orwelliana è una guerriglia di accuse, è una sfida continua di allusioni e pudori, confronti e violenze, un Guernica di attacchi e fuoco incrociato il tutto ammantato da un'inquietudine incancrenita dal tempo che, in questi casi, mai è galantuomo, anzi ingigantisce e cerca solo vendette. Sono schermaglie ammiccanti e gelosie diffuse: si scontrano due mondi, lei se n'è andata, ha studiato, si è sposata, ha fatto due figli, mentre gli altri due sono rimasti ragazzotti non cresciuti “che pensano male, parlano male e quindi vivono male”, per dirla con le parole di Nanni Moretti in “Palombella Rossa”.

Avevano sempre rifuggito questo Processo, questo faccia a faccia perché intimamente sapevano che sarebbe stato doloroso quanto necessario, che dopo non stn_il-bacio-della-vedova-3_1000x0_c7364403fca9969af894767c236f2007.jpgarebbe più stata la stessa cosa, che indelebilmente niente sarebbe stato come prima, che il mondo sarebbe cambiato ai loro occhi e che il mondo là fuori, quello che hanno fatto scorrere senza pensare più a quell'evento così catastrofico ma che allo stesso tempo li ha consumati e mangiati dall'interno, li avrebbe finalmente visti e condannati o forse perdonati come vittime e carnefici, come boia e agnelli sacrificali, come bestie da macellare. Un tavolo solo a dividerli come ad avvicinarli, un tavolo a separare le dinamiche da Risiko dove la giovane donna si sposta come pendolo facendo pendere la forza e la condanna verso il terzo di turno inchiodandolo in un gioco al massacro brutale e calibrato, perché molto più intelligente dei due più robusti balordi grezzi e dai ragionamenti meno fini, per far emergere finalmente i fatti, le confessioni, i pentimenti, le lacrime.

Dilettatn_il-bacio-della-vedova-6_1000x0_4670d711200ee76ff67d60c40d4db2c2.jpg Acquaviva (potrebbe fare tranquillamente la controfigura a Luisa Ranieri) tiene le redini del play con disinvoltura e caparbietà (è cresciuta molto con i lavori di Michele Sinisi), una capacità innata di fermezza e piglio, una presenza fisica che si fa notare e dirige in scena gli altri due attori che, come satelliti, sono illuminati dai suoi movimenti, dalle sue didascalie invisibili, dalle direzioni impercettibili di sguardi e accenti. Mario Cangiano e Michele Schiano Di Cola hanno phisique du role per interpretare la violenza strisciante barbara machista, si inseguono braccati dai propri errori del passato senza potervi mettere un freno né cancellarli e, non sapendo come affrontarli, diventano rabbiosi e arroganti e iracondi facendo emergere la vera natura dei loro personaggi duri, bassi e peterpaneschi. “Il bacio della vedova” ci chiede da che parte stiamo, ci induce a interrogarci quale sia il nostro concetto di giustizia, ci chiede responsabilmente di soppesare le attenuanti, di controllare i dettagli e misurare gli eventi, ci chiede di schierarci, di difendere gli offesi, di colpire gli aggressori, anche se alla fine non ci sarà nessun vincitore ma saranno tutti sconfitti dal Male che hanno fatto o che hanno subito: vite distrutte dalla provincia che anche se lasci ti segue come un'ombra per martellarti e non lasciarti in pace.

Tommaso Chimenti 26/03/2022

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