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Il Faust della Peking Opera Company: un ponte tra Occidente e Oriente

Uno spettacolo che è puro stupore, il “Faust: prima parte” portato in scena al Teatro Argentina dalla China National Peking Opera Company in collaborazione con la Fondazione Emilia Romagna Teatro. Progetto dalla forte impronta femminile, ideato e diretto dalla regista tedesca Anna Peschke con il riadattamento della giovane drammaturga cinese Li Meini, si snoda sul palco la vicenda di un Faust transcontinentale in lingua cinese, sopratitolato in italiano, in cui gli alti concetti della tradizione filosofica tedesca, contenuti nella grande opera di Goethe, sono raccontati con i registri linguistici e stilistici del Jīngjù, l'antichissima tecnica teatrale cinese, caratterizzata, oltre che dall'intima e consonante Faust01fusione di musica, canto e recitazione, anche da una fisicità che prorompe nelle arti marziali, nel mimo e nella danza. Nella pressoché assenza di espedienti scenografici, lo spettatore è rapito dalla precisione del gesto dell'attore, che chiude una porta con le mani o lava dei panni, ed è facile veder sorgere le riservate stanze femminili e sgorgare i placidi fiumi d'Oriente. I personaggi, come nella Commedia dell'Arte, richiamano le maschere archetipiche della tradizione cinese. Quindi, ad esempio, Faust, interpretato da Lui Dake, inizialmente è il Shēng, il ruolo maschile positivo, ma progressivamente, e in modo innovativo per presto tipo di teatro, la sua maschera si sporcherà dei segni dell'avidità e della corruzione morale, trasformandosi in Jìng, un ruolo maschile con il volto Faust02dipinto, generalmente negativo. Fortemente sincretica è la scelta della musica, creata appositamente per la performance da Luigi Ceccarelli, Alessandro Cipriani e Chen Xiaoman, che fondono contrabbasso, percussioni, chitarra elettrica ed elaborazione elettronica, con modalità melodiche cinesi fatte di jinghu, gong, yueqin e percussioni.
La giocosità e versatilità dello Jīngjù permettono a questo Faust di essere mutevole e con registri emotivi molto differenti. É una risata piena quella che coinvolge lo spettatore per tutta la prima parte, quando ci sono i giochi di seduzione tra Margherita, interpretata da Zhang Jiachun, e Faust, oppure negli scambi iniziali tra Faust e il Mefistofele di Xu Mengke dall'aspetto fortemente simile a quello di un folletto. Forte è lo stacco emozionale, invece, nei momenti finali del dramma di Margherita fino alla disperazione di Faust, con gli iniziali colori pastello sui toni del rosa e del bianco che cedono il posto alla gravità del rosso e del nero, e con un netto abbandono, sull'ultima scena, della levità dei gesti, accompagnata dalle sonorità elettroniche.
Fiore nobile della straordinaria capacità dell'arte di connettere i mondi, lo spettacolo è stato in grado di rapire completamente gli spettatori, tra cui molti ragazzi di giovane età. Il loro vociare si faceva sempre più flebile, fino a sparire man mano che Faust compiva la propria mutazione ed era possibile percepire grande curiosità e interesse. A fronte di ciò sorge una domanda: se la strada verso un redivivo interesse per il teatro nelle nuove generazioni sia lo spalancare le porte, senza remore e sacralità, a una contaminazione tra culture, tradizioni e secoli, sempre più ardita e apparentemente più improbabile? I forti applausi alla fine della performance dicono di sì.

Milena Tartarelli 12/03/2017

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