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“Canned Macbeth – Dialogo per due attori” ovvero tutto ciò che non dice il Macbeth di Shakespeare

Uno Shakespeare decisamente fuori dal comune. Roberto Galano e Maggie Salice il 28 e il 29 marzo hanno portato in scena “Canned Macbeth – Dialogo per due attori”, con la drammaturgia di Letizia Amoreo, all’Ar.Ma Teatro per l’VIII appuntamento con il Doit Festival 2017.Doit2
I personaggi proposti – Macbeth e Lady Macbeth – non sono esattamente quelli del classico immaginario shakespeariano e della famosa opera del Bardo. Ad essa però restano comunque e inevitabilmente incatenati: la regia, forse superba e pretenziosa, di Galano vorrebbe evidenziare la vera realtà dei personaggi storici, indagando quei temi celati nella tragedia originale come quello della maternità di Lady Macbeth e il rapporto morboso tra i due coniugi, escludendo tutti i sortilegi e le magie nere che infittiscono la trama originale. Il titolo scelto, a tradurlo, suona un po’ come “Macbeth in scatola”. Anche noi spettatori ci troviamo tra le mani questa messa in scena in versione scatola: ne analizziamo il contenuto, inizialmente un po’ perplessi, prima di ingerire e digerire il cibo. In realtà, però, questa curiosa attribuzione riprende il concetto di bunker e della sopravvivenza dati dall’ambientazione e dalla scenografia: l’esilio costringe infatti i due sovrani a vivere nascosti e segregati, obbligati a mangiare conserve, barattoli. Le loro giornate si ripetono uguali a loro stesse, noiose, monotone, in balìa del disgusto e della follia. Letto e tavolo sono sospesi, sottolineando quanto nulla in tutto il dramma sia veramente ancorato alla realtà ma, al contrario, pericolosamente altalenante. Niente è ben definito ma oscilla tra l’onirico e il reale. L’unico oggetto che poggia solidamente a terra è una poltrona rossa, sulla quale sprofonda a fine serata Macbeth, come schiacciato, travolto e stravolto dal peso e dall’avidità e della bramosia di potere. Solo lì sopra, perso nei sogni, è debole e vulnerabile.
Attaccato al muro c’è un inquietante ritratto dei coniugi, specchio di questo dramma dell’identità: parte tutto da lì. È un quadro che provoca e riapre continuamente ferite, capro espiatorio della folle e insensata attesa di tornare a regnare. Rinchiusi, prigionieri, lontani dalla loro patria, i due si passano la follia come una patata bollente, combattendo contro fantasmi neanche troppo immaginari e diventando sempre più confusi e vittime dell’altro e di loro stessi. Macbeth sembra avere in sé un po’ di quella finta pazzia pirandelliana di Enrico IV: ammorba e rende pazzo colei che gli sta accanto, l’unica capace di assecondarlo. Marito e moglie si scontrano, si perdono, si cercano e si ritrovano in un’altalena di sentimenti incostanti. Nell’incertezza totale emerge ugualmente l’amore tra i due, malato ma imprescindibile e indispensabile. “Canned Macbeth” di Roberto Galano non è un omaggio a Shakespeare ma un ideale di quel what if?, uno “Sliding doors” ambientato nel XVI secolo: che cosa sarebbe successo se questi due sovrani non fossero morti? Ammirevole e originale il tentativo; chissà quale sarà stato il giudizio del pubblico a fine spettacolo. Per scoprirlo, non resta che aspettare il 9 aprile con la cerimonia di premiazione.

Silvia Lamia 03/04/2017

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