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Alfredino ǀ l’Italia in fondo a un pozzo: il bambino inghiottito dalla terra

Cosa avrà provato a essere inghiottito dalla terra? Questa è la domanda che nel 1981 sfiorò la mente di tutti gli italiani, quando un tragico evento segnò per sempre un’intera nazione.
Il protagonista della triste storia è Alfredo Rampi, detto Alfredino, un bambino che all'età di sei anni precipitò in un pozzo artesiano a Vermicino, vicino Roma. Un caso di cronaca che si trasformò in un macabro reality show di tre giorni, fatto di errori, imprevisti e tanto coraggio.
A riproporre questa storia, vissuta da alcuni e ignorata da altri, è la compagnia Effetto Morgana con lo spettacolo "Alfredino ǀ l’Italia in fondo a un pozzo" per la regia di Serena Piazza, andato in scena il 30 e 31 marzo all'Ar.Ma Teatro di Roma, in occasione del Festival Doit.
Sulla scena le luci sono spente e si respira un’aria strana che non rassicura. Si sentono dei grilli e un debole chiarore illumina un uomo seduto su un piccola sedia, mentre un microfono scende dall'alto. Siamo all'interno del pozzo dove Alfredino invoca la pace e il silenzio. Da questo momento in poi le ultime ore di vita di un bambino si riversano come una valanga sul pubblico senza lasciare speranze. Alfredino1
L’attore Fabio Banfo, interpretando tutti i protagonisti di questa tragedia, fa rivivere i momenti più salienti: l’arrivo dei soccorsi, la folla curiosa che ostacola gli interventi, l’angoscia di una madre che sta per perdere un figlio e il coraggio di uomini comuni che si trasformano in eroi.
Banfo passa senza tregua da un personaggio all'altro avvalendosi di pochi oggetti di scena: con delle cuffie diventa il presidente Pertini venuto per rassicurare il bambino, con un panino interpreta uno dei tanti curiosi, con una fune si trasforma in Angelo Licheri e Donato Caruso, gli unici che riuscirono a essere sul punto di salvare Alfredo, con un microfono diventa uno dei tanti giornalisti della Rai che ripresero tutto senza fermarsi mai. L’attore alterna così le emozionanti interpretazioni dei vari personaggi a momenti di narrazione ricchi di informazioni, creando una struttura drammaturgica coinvolgente e pungente.
In sala c’è una tensione continua. Per un attimo si riesce davvero a sentire la lotta contro il tempo, la paura e il rumore delle trivelle che scavano ininterrottamente per raggiungere il piccolo. Si riesce a percepire il buio e l’odore della terra profonda che uccide lentamente.
L’intento non è solo quello di raccontare una tragedia che non dovrebbe mai essere dimenticata, ma si cerca di dare voce al suo protagonista, l’unico che non è stato in grado di farlo. L’attore, infatti, spiazza il pubblico sedendosi in platea per lasciare ad Alfredino il palco, dandogli così la possibilità di diventare grande, di innamorarsi e continuare a scoprire cosa sia la vita.
I pochi che non conoscono la vicenda sperano fino all’ultimo nel lieto fine, coloro che la conoscono vogliono poter non sentire il noto finale: Alfredino morirà dopo tre giorni di tentativi falliti, il 13 giugno del 1981, imprigionato oltre sessanta metri di profondità, per essere recuperato, ormai cadavere, solo un mese dopo.
La compagnia è riuscita a raccontare con grande rispetto e nessun facile gioco emotivo (non si cerca minimamente di strappare a tutti i costi una lacrima allo spettatore) un evento che ha unito l’intero Paese nel lutto. È stato possibile ricordare che quel giorno dentro al pozzo ci sono finiti tutti gli italiani.
Alla fine dello spettacolo il pubblico si è confrontato direttamente con la vicenda grazie alle riprese della Rai, portate dal giornalista Massimo Gamba, e al dibattito con l’attore e la regista.
Il destino di Alfredino verrà ricordato da tutti come una tragedia che si poteva evitare e che invece si è trasformata nella prima morte in diretta nazionale. Ma come ci ricorda l’attore: “Siamo in Italia dove sbagliare è lecito e rimediare è cortesia”.

Marilisa Pendino 03/04/17

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