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Maria Cassi e Leonardo Brizzi con il loro “Alè” inno alla vita

FIRENZE – Maria Cassi è tornata e lo ha fatto alla grande, nel suo stile inconfondibile, nella sua cifra unica e inimitabile. Ed è in formissima. Dopo un paio di spettacoli di ripresa e di “alleggerimento”, “Diamine” e “La solita zuppa”, con il nuovo “Alè”, sempre insieme al fidatissimo Leonardo Brizzi al pianoforte e nel ruolo della spalla impostata e compunta contraltare della sua energia e follia scenica, si è tornati ad applaudire a piene mani alla sua fiorentinità, al trionfo di una comicità sincera, che non è passata mai di moda. Le sue battute, la sua gestualità da mimo consumato, le facce esplosive, la bocca usata in mille espressioni, il gergo tutto nostrano (che piace in egual modo ai suoi concittadini come ai tanti stranieri che affollano il Teatro del Sale), i modi di dire forzati ed esagerati sempre efficaci. E “Alè” è un inno alla vita dopo il periodo difficile della chiusura del Covid prima e successivamente della scomparsa del compagno Fabio Picchi, ideatore e fondatore del concetto del Sale, un mix inscindibile tra musica, teatro e buon cibo in un luogo magico. Un “Alè” contro le brutture, contro la sfortuna, contro le negatività, un saluto al domani pieno di sorprese, un andare incontro LEOG3412-1-scaled.jpgalla bellezza, senza lasciarsi schiacciare dai momenti no, un sorriso al nuovo, all'ignoto, un lasciarsi andare incontro al futuro pieno di sorprese, un racconto poetico ed emozionale, un abbraccio senza preclusioni né pregiudizi, un saluto al Sole della risata che rischiari sempre il buio dei nostri tempi.

Non possono mancare i suoi classici tormentoni, ai quali il suo pubblico si è fidelizzato e non vorrebbe mai rinunciare: le sue digressioni sul “ragionare” dei fiorentini, il discorrere principalmente sul nulla, lo “scuotere la testa”, segno distintivo di chi abita vicino all'Arno, l'avere il “palletico”, ovvero non stare mai fermo un attimo, le lamentele continue come mantra, quell'“oioi” cantilenato, i “canti” che a queste latitudini sono gli angoli delle strade dantesche. E' una rana dalla bocca larga con una mimica facciale che inevitabilmente fa esplodere il riso, improvvisa un gramelot, giocando con la sensualità intonando un'aria in tedesco (e qui ci ha ricordato Ute Lemper), ora è “fantozziana” piena di tic nervosi e nevrosi, adesso canta a cappella dimostrando alte doti canore.

Con il Maestro di pianoforte Brizzi, il loro rapporto artistico va avanti da trentacinque anni, che fa il serioso e la spalla rigida, opposto della sua imprevedibilità stupefacente, l'alchimia, i ritmi e i tempi ormai sono naturali e spontanei e si muovono come un unico organismo: rappano oppure si cimentano in Stanlio ed Ollio o ancora si lanciano in sfide non-sense cariche di buon umore. Non puoi non sorridere, non puoi non farti venire le brizzi-e-cassi-1024x485-1.jpgrughe d'espressione agli angoli delle labbra. Non ci si stancherebbe mai neanche di seguire un altro dei suoi cavalli di battaglia più longevi, “La morte del cigno” esilarante, che sempre scatena risate contagiose. Il suo duetto con gli ottantotto tasti ci porta ad un medley dove dal “Don Giovanni” si passa a “Un cuore matto” di Little Tony arrivando ad “Azzurro” di Celentano fino ai Blues Brothers e concludendo con Fred Buscaglione. La gag con la lingua fuori è un pezzo di bravura da LEOG3414-5-scaled.jpgsottolineare, così come quella spassosissima del “Voltapagine”, la persona che durante i concerti di musica classica ha il compito di girare le pagine degli spartiti di un solista, che in questo caso però è distratto, cialtrone, sbadato e disattento creando caos clownesco e confusione indicibile sul palco. Maria Cassi si merita il Fiorino d'Oro, le chiavi della città per essere da tanti anni ambasciatrice di Firenze, per il suo amore per la città di Brunelleschi e Michelangelo, per averla portata sui palcoscenici nel mondo e per aver regalato ed elargito così tanto buonumore. La formidabile Cassi è Firenze, l'una compenetrata nell'altra.

Tommaso Chimenti 01/05/2023

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